di Sepideh Farsi, Francia, Iran, Palestina, 2025, 110′
con Fatma Hassona
Put Your Soul on Your Hand and Walk racconta la vita a Gaza durante l'invasione militare israeliana attraverso le videochiamate tra Sepideh Farsi e la fotoreporter palestinese Fatima Hassouna, che documenta con coraggio la realtà quotidiana di una popolazione assediata. Attraverso un racconto intimo e potente, il film diventa l'archivio della resistenza di Fatima, uccisa in un attacco aereo insieme a nove membri della sua famiglia, mentre la realizzazione del film era ancora in corso. Un caso che ha scosso le coscienze in tutto il mondo.
Put your soul on your hand and walk è la mia risposta, come regista, ai massacri in corso dei palestinesi.
Quando ho incontrato Fatma Hassona è avvenuto un miracolo. Lei è diventata i miei occhi a Gaza, dove resisteva documentando giorno per giorno la guerra. E io sono diventata un collegamento tra lei e il resto del mondo, dalla sua «prigione di Gaza», come la definiva lei. Abbiamo mantenuto questa linea di comunicazione per quasi un anno. I frammenti di pixel e suoni che ci siamo scambiate sono diventati il film che vedete. L'assassinio di Fatma il 16 aprile 2025, in seguito a un attacco israeliano alla sua casa, ne cambia per sempre il significato.
Sepideh Farsi
MyMovies - Put Your Soul in your Hand and Walk è un film-ponte, la cui possibilità si dà grazie a una serie di relazioni e dispositivi, e in parallelo anche dalla forte volontà di non arrendersi. Il sorriso candido di Fatem, intriso di fatalismo misto a fede - tra le tante apparentemente frivole risate scambiate con Sepideh, che a leggerle bene, segnalano tensione, preoccupazione, imbarazzo - è il simbolo inerme di ciò che la causa palestinese, ancor più dopo il 7 ottobre, rappresenta nel mondo.
La centralità della macchina da presa sullo smartphone enfatizza l'attesa prima di ogni risposta, alimentando la speranza che Fatem possa (ancora) rispondere. La sua voce e la sua immagine cominciano a pixelarsi a causa di una depressione, alienazione e di una cattività non più tollerabile visibili nel suo primo piano.
Quinlan.it - Come un nuovo diario di Anna Frank esperito in diretta, e per questo senza alcun bisogno di ipotizzare percentuali tra verità e romanzo, il racconto si dispiega attraverso la progressiva distruzione, assume tonalità orrorifiche quanto evoca l’immagine della testa di una zia ritrovata senza più il corpo, atterrisce quando mostra praticamente un bombardamento in diretta dalla finestra di casa. Ma, ed è forse la cosa più importante, ci educa a umanizzare in maniera paritaria le vittime dell’abominio, senza la disumanizzazione che la propaganda (filo)israeliana ha cercato di favorire all’interno delle opinioni pubbliche mondiali, ma senza nemmeno il pietismo (involontariamente?) neocolonialista di tutta un’altra parte della barricata intellettuale, che sembra ridurre le “povere vittime” a inermi agnellini incapaci di esprimersi e provvedere alla propria sopravvivenza.
Sentieri Selvaggi - L’immobilismo torna anche nell’estetica autentica ed imperfetta del film. I limiti tecnici aprono ad un cinema che segue un’urgenza e apre una finestra sul mondo. Ma il mondo stesso impone i suoi ritmi e le connessioni instabili scandiscono gli eventi. Ci si ritrova a fissare lo schermo, in attesa che il video riprenda e che Fatma possa raccontare l’impegno dei suoi fratelli nel cercare acqua e legna o possa recitare una delle sue poesie o, ancora, possa mostrare le fotografie che ha scattato. Quest’ultime, come i silenzi in attesa che la connessione riprenda, alterano il tempo e portano in una condizione sgradevole e asfissiante, di chi guarda e non fa. Dinamismo e immobilismo. Vita e morte.