Bosnia, luglio 1995. Aida è un’interprete che lavora con l’Organizzazione delle Nazioni Unite nella cittadina di Srebrenica. Quando l’esercito serbo occupa la città, la sua famiglia è tra le migliaia di cittadini che cercano rifugio nell’accampamento delle Nazioni Unite. Come persona informata sulle trattative, Aida ha accesso a informazioni cruciali per le quali è richiesto il suo ruolo di interprete. Cosa si profila all’orizzonte per la sua famiglia e la sua gente? La salvezza o la morte? Quali passi dovrà intraprendere?
MyMovies - Prendendo spunto dalla vicenda realmente accaduta al traduttore Hasan Nuhanovic, Zbanic costruisce su un onnipresente personaggio femminile un dramma incalzante, che attraversa la tragedia e la ricostruzione storica con la medesima attitudine e con il medesimo sguardo. Quello di Aida – su cui Zbanic incolla la macchina da presa – che con la sua fermezza e lucidità di madre e di insegnante, di moglie e di guida, sembra non smarrire mai il controllo in una situazione apparentemente ingestibile.
Quinlan.it - La regista bosniaca Jasmila Žbanic (Orso d’Oro 2006 per Il segreto di Esma) affronta la sfida insidiosa di ripercorrere i passaggi che portarono alla più grande strage avvenuta in Europa dal secondo dopoguerra, quella di Srebrenica del luglio del 1995. Il risultato è Quo Vadis, Aida? in Concorso alla Mostra di Venezia. Un film implacabile, sobrio, privo di retorica, classico, poco appariscente, ficcante, dolorosissimo. (...) È inevitabile che Quo Vadis, Aida? termini un po’ più in là, a guerra finita, ponendo l’inquietante domanda non solo di come sia stato possibile ma sopratutto di come sia possibile continuare e continuare a persistere, a restare (al mondo, gli uni con gli altri, ancora e ancora). Nel film non vediamo immagini di morte. Ma immagini di bambini ignari, a scuola, con la straniante sensazione che l’umanità ricominci sempre da capo, di nuovo, da zero. A vivere, a conoscere, a raccontare, a non imparare, a sbagliare…
Internazionale.it - Appassionante e trascinante senza furberie, il film interroga le nostre bugie e i nostri silenzi, non solo quelli serbi e bosniaci, ma anche quelli dell’opinione pubblica, della comunità internazionale. In altre parole, tutto è in campo perché tutto è fuori campo. Fino al finale nell’oggi dove alcuni bambini, in una rappresentazione teatrale seguendo i fili dell’invisibile, mimano la necessità di saper volare con la mente e di aprire gli occhi dopo averli chiusi. Come dopo una violenta litigata per una sbronza, nessuno sembra più capire il perché di quell’odio, di quella crudeltà insensata e tutti sembrano vergognarsi e voler rimuovere i fatti.