di Ameer Fakher Eldin, Germania, Canada, Italia, Palestina, Qatar, Giordania, Arabia Saudita, 2025, 124′
con Tom Wlaschiha, Sibel Kekilli, Hanna Schygulla, Ali Suliman, Georges Khabbaz.
Munir intraprende un viaggio verso un’isola remota per riflettere su una decisione cruciale, ma è tormentato da una misteriosa storia tramandatagli dalla madre. Nella tranquillità del suo rifugio isolato, incontra l’enigmatica Valeska e suo figlio Karl, giovane ruvido ma leale. Nonostante le poche parole, sono i semplici gesti di gentilezza a dissolvere pian piano la diffidenza, alleviando così l’angoscia di Munir e risvegliando in lui il desiderio di vivere.
Ameer Fakher Eldin: «il mio film per esplorare il silenzio di chi lascia casa»
Intervista al regista Ameer Fakher Eldin, nelle sale da oggi il suo «Yunan» sulla ricerca di una rinascita. Uno scrittore su un’isola remota, il rapporto con la natura, il montaggio
il manifesto
(...) Non si tratta di un’opera autobiografica, ma devo dire che l’ispirazione principale per il film nasce dalla mia paura del futuro. Ho provato a immaginare che persona ho paura di diventare, quali sono le situazioni che ho paura di affrontare. Nel film cerco di esplorare cosa rimane di una persona quando si sente perso e se la natura e il contatto umano possano ancora aiutarlo. Questa è la sostanza del film.
In «Yunan» è come se il paesaggio e l’ambientazione fossero essi stessi un personaggio, gli viene dato molto spazio. Ma cosa rappresenta?
Quando ho sentito di quest’isola, che d’inverno viene sommersa e poi le sue terre riappaiono, ho pensato fosse perfetta per la storia che volevo raccontare. Una storia di perdita ma anche di ritorno. Ciò che scompare non è perduto per sempre, ma non ritorna neanche uguale a prima. È un’idea che è diventata centrale nel mio approccio al film. Esplorare il non detto e i silenzi che siamo costretti a lasciarci dietro quando abbandoniamo i nostri luoghi d’origine. Anche quando ritorneremo sappiamo che rimarrà lo stesso un senso di distanza. Volevo provare a sedermi con quella distanza ma senza risolverla, e immaginare che cosa sarebbe potuto aprirsi dentro di me. Volevo mostrare un percorso di rinascita, di resurrezione, dentro l’anima di questo personaggio. Per Munir andare su quest’isola è come andare ai confini del mondo. Un posto che ha scelto per vivere gli ultimi momenti della sua vita. Non mostro come l’ha scoperta perché non è importante. Ciò che importa è il rapporto tra lui e lo spazio circostante. È un luogo che con la sua natura sconfinata probabilmente gli ha fatto capire quanto lui sia piccolo in realtà. Tutto quello che succede nel film accade nel piccolo, in gesti di delicatezza, quasi impercettibili. I gesti semplici e la natura sono l’unica cosa che può toccarci alle volte.
Mymovies.it - Il regista prosegue con questo film il suo lavoro sulla condizione umana dello straniero, dell'esiliato, del rifugiato, tornando a ragionare sui temi dell'appartenenza e dell'estraneità nel portare avanti la trilogia partita con Lo straniero, presentato a Venezia. Si concluderà, dopo Yunan, con Nostalgia: A Tale in Its First Chapters. Intanto questo è il capitolo della disperazione, della memoria, della tradizione (la storia che sta scrivendo nasce da una parabola che gli raccontava sempre sua madre da piccolo), ma anche del ritrovamento, dell'accoglienza, dell'apertura a una nuova vita.
Alla xenofobia il regista preferisce qui raccontare l'empatia, la benevolenza di chi percepisce la disperazione altrui e cerca di alleviarla. Si dimostra abile a portare sullo schermo - con un ritmo diluito che va compreso e assecondato come le maree che racconta - non solo il magma imprevedibile dei sentimenti, quelli autentici, sinceri, che non hanno bisogno delle parole e vanno oltre ogni barriera linguistica e culturale, ma anche la potenza visiva dei panorami, di una natura incontrastata che non viene in alcun modo mortificata né temuta dall'uomo, ma rispettata come parte integrante della propria esistenza.
Quinlan.it - L’altro e noi. L’altro è in noi. La memoria. L’importanza delle radici, specie quando si vive senza averne. Il trentatreenne Ameer Fakher Eldin giunge in concorso alla Berlinale 2025 con Yunan, sua opera seconda che nasce all’insegna di uno spiccato cosmopolitismo. Frutto di una coproduzione fra Palestina, Qatar, Giordania, Arabia Saudita, Germania, Canada e Italia. Opera realizzata da un giovane autore radicato in Germania e nato in Ucraina da genitori siriani provenienti dalle alture del Golan, territori situati tra Siria, Israele e Libano. Con location rintracciate fra Germania (Amburgo e Schleswig-Holstein) e la Puglia – nella produzione del film ha ricoperto un ruolo importante anche l’Apulia Film Commission. La stessa natura apolide si configura nel cast di attori protagonisti, che vede il libanese Georges Khabbaz principalmente al fianco dell’iconica Hanna Schygulla, tedesca ma con origini nella Slesia polacca. Yunan è del resto il racconto di un’universale terra di nessuno, in cui l’estraneità è soprattutto dentro se stessi.