di Guan Hu, Cina, 2024, 106′
con Jia Zhangke, Eddie Peng, Liya Tong, Zhang Yi, Hong Yuan
Siamo nella Cina del 2008 che si prepara ad ospitare le Olimpiadi. Sul pullman dell’incidente sta viaggiando Lang, ex motociclista acrobata che sta tornando nella sua città natale, nei pressi del deserto del Gobi, dopo 10 anni trascorsi in carcere per l’omicidio del nipote del boss locale Butcher Hu. Arruolato per catturare un cane randagio che semina il terrore nei suoi concittadini, Lang diventa suo amico, in una storia di rivalsa che vedrà i due alla ricerca di quella dignità che il mondo circostante vorrebbe sottrargli.
La crescita economica e il cambiamento sociale della Cina erano, all’inizio del XXI Secolo, al loro culmine. Ciò che in Cina è durato solo trent’anni avrebbe francamente richiesto più di un secolo in un altro Paese o in un’altra epoca. Tutti hanno beneficiato di questa trasformazione, ma in quel rapido processo di cambiamento era inevitabile che alcune cose si perdessero o venissero dimenticate, o che l’ondata di sviluppo avesse un impatto su coloro che erano stati superati dalla velocità del cambiamento.
Quando arriviamo in una città un tempo prosperosa ma ora dimenticata e vediamo una persona che una volta era in ginocchio ma che ora sta cercando di rimettersi in piedi, è come se vedessimo Lang mentre si imbatte in un’altra anima solitaria: un cane nero che corre veloce e che scatena l’animale che è in lui. Tutti gli esseri umani hanno un lato animale, anche se è stato a lungo represso. Lang decide di alzarsi e correre di nuovo...
Puntiamo l’obiettivo della macchina da presa su cose che molti film trascurano e ci concentriamo su individui rari che sono riusciti a ricostruire un senso di dignità. Crediamo che questo sia fondamentale per il futuro di questa comunità. Queste persone possono essere una minoranza, ma sono ancora parte di noi. Se a distanza di qualche anno ci guardiamo indietro e ci rendiamo conto che c’è un valore in tutto questo, allora possiamo anche dire che questo è il valore del cinema.
Guan Hu
Duels.it - Nella linea visiva di Black Dog c'è una orizzontalità vagamente astratta, che ha un suo fascino un po' abbacinante e un po' stralunato: tanta luce, ampi spazi, un dialogo costante tra dispersione e insediamento, vuoto e figure, su cui il regista Guan Hu lavora con piglio impercettibilmente fantastico, omaggiando tra le righe Jia Zhangke, cui tra l'altro chiede di interpretare uno dei capi del villaggio. Miglior film del Certain Regard di Cannes 2024, Black Dog sta ai margini del Deserto del Gobi, laddove la Cina scolora nella Mongolia: lontane province della modernizzazione a marcia forzata, in un villaggio che è uno spazio liminare tra quel che resta di una dimensione rurale non ancora dimenticata e la frenesia di un futuro che arriva da lontano e parla di fabbriche da innalzare e nuova economia da impiantare sulle macerie di case e vite ferme nel tempo.
Cineforum.it - Da noir hard-boiled il film degrada lentamente verso il melodramma sentimentale, si toglie di dosso l’ansia e la violenza, la suspense, come la pelle di un serpente, e si fa sempre più morbido e romantico. L’eclisse che tutti stanno aspettando (fenomeno extra-ordinario come la cerimonia olimpica) risuona dell’arrangiamento per chitarra di In the flesh, un curioso fool di contorno, che apre i lucchetti e le porte, libera gli animali dallo zoo, le strade svuotate dagli uomini si riempiono di animali. E Lang può andarsene da quella città, tenendo il cucciolo nello zaino.
È una fiaba lontana, come se ne vedono molte, soprattutto a Un certain regard, derivativa, quasi perfetta nel gioco a incastri della scrittura, dove ogni particolare anodino apre a uno sviluppo successivo e ogni vuoto viene colmato dal ritorno di un’immagine, che satura il senso. Ma è anche un monito verso il nostro sguardo coloniale (Miguel Gomes ne ha fatto il suo Grand Tour), il nostro stupore da antropologi napoletani (non è un insulto, è Sorrentino) dell’immagine altrui, che si contentano di vedere, senza guardare.