di Danilo Caputo, Italia, Francia Grecia, 2020, 91′
con Yile Yara Vianello, Caterina Valente (II), Espedito Chionna, Feliciana Sibilano.
Dopo 3 anni di assenza, Nica, studentessa di agronomia, torna nel suo paese in Puglia. Qui trova una situazione complessa: gli uliveti di proprietà della famiglia sono stati invasi da un parassita, il padre è pronto a qualsiasi compromesso pur di portare a casa soldi, la madre versa in una sorta di depressione a causa della mancata apertura di un negozio che avrebbe voluto gestire. Nica però non ha dimenticato i valori che la nonna le ha trasmesso e si impegna, contro tutto e tutti, per trovare una soluzione.
Posti limitati, prenotazione richiesta: PRENOTA QUI IL TUO POSTO AL CINEMA
Cineforum.it - La civiltà contadina e con essa il culto della terra vengono difesi da questa curiosa ragazza “maledetta”, che coniuga scienza e antropologia, Jethro Tull (non la band rock) ed Ernesto De Martino. Nica, figliola prodiga, torna a casa dopo un disastro sentimentale e scopre cose terribili, ben peggiori delle relazioni di coppia. Come nel classico impianto dei film di genere. E si scontra caparbiamente con forze occulte, interne anche alla propria cerchia familiare, che rappresentano il Male al di là di ogni tradizionale modello di rappresentazione in voga.
Repubblica.it - Il regista, Danilo Caputo, ha ambientato la storia ai piedi dell'Ilva: mettendo al centro lo scontro tra due diversi modi di sentire la natura, e il confronto tra un padre e una figlia. I due modi di intendere il rapporto con la natura che si contrappongono sono quello che la giovane Nica ha ereditato dalla nonna, una dimensione animista, quasi magica rispetto alla natura che cerca di riscoprire con gli strumenti della scienza. E poi c’è quello del padre, un uomo che ha creduto a un progresso industriale che ha tradito ogni promessa.
FilmTv - Danilo Caputo, come molti giovani registi italiani, guarda alle colpe della generazione dei padri (...). Il modo degli adulti si rivela un garbuglio consociativo di ruberie, devoto al folklore ma scellerato verso la tradizione(...). A lenire questo panorama corrotto è il brulichio incessante di natura coriacea, dove, a dispetto di ciò che accade, si scatenano gli elementi del paesaggio (dal vegetale al minerale passando per l’animale) che sminuiscono l’uomo; una natura che il regista contempla (non senza ridondanza e compiacimento, sfiorando a tratti la fantasticheria estatica) con sguardo sospeso tra realismo e meraviglioso.