di David Oelhoffen, Francia, Belgio, 2018, 111′
con Matthias Schoenaerts, Reda Kateb, Adel Bencherif, Sofiane Zermani, Nicolas Giraud
Manuel e Driss sono cresciuti come fratelli nelle banlieue parigine ma oggi tutto li oppone. Manuel gestisce traffici di droga, Driss è diventato un agente dell'antidroga. All'ombra di un assassinio che ha freddato in strada tre dei suoi compagni, Manuel è costretto a collaborare con Driss. Tra ostilità e risentimento e malgrado la loro diffidenza reciproca, i loro legami si riallacciano intorno alle radici comuni.
filmtv.press.
La droga fa sempre lo stesso tragitto: Conaky, Tangeri, Lisbona... Ma la gang parigina dal ferreo codice d’onore non c’è più. Neppure Melville, re del noir, saprebbe radiografare con sensibilità altrettanto tattile la disintegrazione attuale che atomizza la banlieue, producendo come antidoto ai casermoni singolarità celibi, rabbiose e destinate a “morire giovani”, ma sciolte dai giuramenti patriarcali. Non è più tempo di Gabin, dei legami fatali, di sangue o di amicizia territoriale. Produzione di odio a mezzo odio, piuttosto. «Familiari e amici che si sbranano tra di loro per la “roba”, per i soldi, oramai. E così non hai più un senso»: con questa frase, pronunciata in bocca alla cinepresa, Manuel riassume un’odissea tragica. In fuga perpetua disegna, grazie a filtri da cinema muto (giallo ocra/azzurro ghiaccio) che rendono démodé l’iconografia classica del genere, una geografia emozionale fatta di rampe concentriche, garage, cunicoli, fabbriche dismesse, torri tv, pistole cromate... Giù, verso l’inconscio dark del senso di colpa, o su, verso l’utopia dell’ultimo colpo e poi basta. Trafficante di droga e papà, divorziato, Manuel vuole vendicare l’esecuzione del partner Imrane, a costo di diventare informatore di Driss, amico d’infanzia poi nella narcotici, mentre il padre padrone del quartiere e la squadra omicidi lo braccano. Co-produzione franco-belga in anacronistico regime tax shelter, più che un neopolar è il requiem, anche benvenuto, al genere. Basta ascoltare l’arabesque finale, Haraga di Nordine Marsaoui. O la soundtrack di Superpoze, che paralizza con macchie sonore statiche ogni tentativo di armonia dinamica.
quinlan.it. Manuel e Driss sono uniti da un legame di fratellanza, per essere cresciuti nello stesso ambiente di disagio, una vita che li ha temprati, hanno capito fin da bambini come funziona il mondo. «Lo dicevi che saremmo morti giovani», è una battuta tra i due. Il traffico di droga li unisce specularmente, in quanto uno, Manuel, ne fa parte, e l’altro, Driss, è stato messo nella sezione narcotraffico della polizia proprio per la sua provenienza sociale, per la sua conoscenza conseguente di quel mondo da cui arriva. Ha tratto vantaggio nella sua carriera proprio da quell’infanzia che si porterà dietro per sempre.
La retata cui fa seguito l’uscita dal carcere del personaggio accolto dalla sua famiglia festeggiante: ancora uno dei tópoi del cinema di gangster che il film ricicla, pensiamo solo a C’era una volta in America, come anche alla figura del padrino. E l’ulteriore meccanismo che David Oelhoffen sfrutta è quello del whodunit della tradizionale detective story. Chi sta dietro la mano invisibile che ha freddato i colleghi spacciatori di Manuel? Il mistero è fitto e Fratelli nemici sembra anche non interessarsene per un po’, inseguendo altre cose, la comunità con i suoi riti, come la veglia funebre, la cooperazione tra Manuel e Driss. In fondo il contesto è ancora e sempre quello di tanti film del genere, la lotta tra gang rivali laddove la polizia finisce per aggiungersi a queste. Ma la scoperta del colpevole si rivelerà ancora agghiacciante, in quel contesto di intrecci famigliari cui tutti sono collegati. «Mi ucciderai ma ti considero sempre mio padre»: la lotta tra gang rivali avviene sempre in un contesto famigliare.
David Oelhoffen parte da Scorsese, e da Melville, e da John Woo, per arrivare a Gomorra. Usa una macchina a mano perenne, nessuna inquadratura sembra del tutto ferma. Un linguaggio quindi che non è quello del cinema di genere. E usa attori dai volti reali, genuini, dalla fisicità autentica. Porta avanti un’operazione semplice, coerente, che funziona fino in fondo.