di Marios Piperides, Cipro, 2018, 92′
con Adam Bousdoukos, Vicky Papadopoulou, Toni Dimitriou, Özgür Karadeniz, Fatih Al
Nessun animale, pianta o prodotto può essere trasferito dall'area greca di Cipro a quella turca e viceversa. Così dice la legge. E quando Jimi, il cane che lo spiantato musicista Yiannis aveva comprato con la sua ex, attraversa accidentalmente la zona cuscinetto dell'ONU (quella che divide le due parti dell'isola), bisognerà fare di tutto per riportarlo indietro. Anche se questo, per il casinista Yiannis, significherà ritardare i suoi piani di emigrare verso nuove opportunità. Riprendersi il cane, però, è un'impresa omerica.
mymovies.it. La storia dura tre giorni ed è scritta dallo stesso Piperides con estremo umorismo. In Torna a casa, Jimi! c'è tutto l'asciutto e poetico sarcasmo che ci serve per ridacchiare delle sventure altrui, ma anche per riempirci gli occhi di una triste realtà che, diversamente, non si desidererebbe vedere per propria scelta. Lo si evince soprattutto dagli spassosi dialoghi tra il protagonista e Hasan (uno strepitoso Fatih Al), l'uomo che vive nella sua casa d'infanzia situata nel confine turco, dopo l'occupazione. Da una parte Yiannis sente ancora come di sua proprietà quelle stanze e quei muri, dall'altra Hasan ne sostiene il possesso, anche se in realtà si sente e vive come un esiliato.
I paesaggi non sono da cartolina turistica, ma ordinari quartieri allo sfascio, popolati da spigolosi abitanti, che diventano semplici e perfetti sfondi per rappresentare la complessità della natura umana, riscoprendo compassione e affetto, impotenza ed egoismo. ? Sono queste le giuste strade che l'autore percorre per tracciare le rotte della trama e per presentare Cipro nella sua forma reale e contemporanea, senza nascondere pregi e bellezze umane. Bisogna dire che lo fa sembrare sorprendentemente casuale da essere quasi magistrale. Sarà anche merito della palestra fatta a suon di cortometraggi e documentari.
Malgrado la storia sia espressa dal punto di vista cipriota, il messaggio è globale e attuale. Mai lasciarsi influenzare dai pregiudizi, ma accettare gli altri e cooperare, alla ricerca di una zona neutra all'interno della quale sia possibile dissolvere ogni tensione ideologica. Non a caso, lo stesso nome del migliore amico di Yiannis è quello di una delle figure della cultura hippie che meglio rappresenta i principi pacifisti: Jimi Hendrix. Così, lì dove non riescono le Nazioni Unite in grande, può un tenero cane. E attraverso una scritta al neon su un negozio di biancheria intima femminile, possiamo sentire anche la voce di Piperides che urla: NO BORDERS.
quinlan.it. Se è vero che il regista fu indotto a dirigere il film dopo un giro nella metà settentrionale di Nicosia, con l’attraversamento di un paesaggio che gli appariva tanto familiare quanto alieno, questo mood viene colto efficacemente e restituito dallo schermo, nella rappresentazione di un’alterità che è specchio deformante in cui il protagonista (e con lui, dall’altra parte, i suoi due compagni) ha paura a guardarsi. Il viaggio alla ricerca di Jimi, e la piccola odissea per il suo ritorno, divengono occasione di riflessione – fortuita quanto provvidenziale – su un senso di appartenenza che Yiannis aveva fatto di tutto per elidere; una messa tra parentesi di una parte dell’identità, che viene irrisa nel momento stesso in cui il richiamo della casa natale, usurpata da un’altra presenza apolide (e da un’altra identità incompleta), si fa sentire con tutta la sua urgenza. Il confronto forzato coi due compagni di ricerca, persino quello con l’improbabile spacciatore che traffica in uomini, animali e droga al confine, diventa riappropriazione del sé e insieme voglia di guardare oltre: poco importa che la sceneggiatura, per descriverne gli esiti, ricorra a qualche schematismo, a un umorismo a tratti sopra le righe, a qualche quadretto fin troppo ben confezionato (il dialogo tra i tre sul tetto).
Da un'intervista al regista (stralcio pubblicato su "Il manifesto") Non è un film contro Cipro, ma già solo mostrare la bandiera turca è visto male. Il film ha avuto nella zona turca una sola giornata di riprese anche perché non c’è una grande differenza di location. I problemi invece li abbiamo avuti per ottenere i tanti permessi da parte delle due zone e in più dalle Nazioni Unite. La situazione è molto più complessa di quello che sa la gente, ad esempio moltissime persone non vogliono neanche passare la frontiera per non dover mostrare i documenti alle autorità. Nel film mettiamo al centro dell’attenzione internazionale il problema che ogni giorno vive la gente comune di Cipro. Costruiamo i muri per difenderci dall’altro, ma dobbiamo conoscere l’altro e quando questo accade c’è un avvicinamento. È una situazione che si vive ovunque, ci sono tanti rifugiati, e anche parecchia propaganda da tutte e due le parti: fino dalle elementari si ribadisce che siamo nemici e non possiamo vivere insieme