di S. Baker, USA, 2017, 114′
con Willem Dafoe, Brooklynn Prince, Bria Vinaite, Valeria Cotto, Christopher Rivera
Moonie, Scooty e Jancey vivono in Florida, in una zona degradata tanto vicina a Disneyland quanto lontana dal suo gioioso e spensierato benessere. Ma i tre hanno circa sei anni, e riescono ancora a trasformare una realtà fatta di fast food, trash televisivo e quotidiana miseria in un'avventura alla Tom Sawyer e Huckleberry Finn. Le tre simpatiche canaglie abitano in quei terrificanti motel coloratissimi ma squallidi che popolano le periferie della Florida, e i genitori dei bambini (anzi, le mamme, perché i padri sono del tutto assenti) non hanno un lavoro stabile, campano alla giornata, bevono, fumano e smignottano. Non sono madri snaturate, perché continuano ad amare i propri figli e qualcuna si adopera per tenerli lontani dai pericoli e dalla perdita di dignità cui loro stesse sono quotidianamante sottoposte. Ma Halley, la giovane mamma di Moonie, cammina pericolosamente lungo il confine fra legalità e crimine, fra rispetto di sé e perdita di ogni decoro.
Sean Baker, il regista indipendente che ha raggiunto la notorietà (almeno all'interno dei circuiti indie) con il precedente Tangerine, affronta la storia di Un sogno chiamato Florida senza pietismi e con una gran dose di allegria, scegliendo il punto di vista dei bambini e mettendo la cinepresa letteralmente alla loro altezza.
Scooty, Jancey e soprattutto l'irresistibile Moonie vivono ogni difficoltà come un'occasione per creare scompiglio e farsi due risate, anche se ci sarebbe poco da ridere per alcuni loro atti vandalici. Ma poiché c'è ancora meno da ridere per la situazione senza speranza delle loro madri (e nonne), Baker identifica correttamente nello spirito iconoclasta dei tre bambini l'unica loro possibilità di salvezza, l'unico filtro ad una realta' di per se' intollerabile.
Il regista, che è anche cosceneggiatore e montatore del film, lavora bene sul contrasto visivo fra colori vivaci ed esistenze miserabili, fra quel mondo di fantasia perpetuato dall'architettura esagerata e grottesca della Florida e la realtà in cui vivono i suoi abitanti dei quartieri più poveri, vedendosi sbattutto in faccia quotidianamente l'imperativo di continuare a credere alla favola disneyana.
Il regista, che è anche cosceneggiatore e montatore del film, lavora bene sul contrasto visivo fra colori vivaci ed esistenze miserabili, fra quel mondo di fantasia perpetuato dall'architettura esagerata e grottesca della Florida e la realtà in cui vivono i suoi abitanti dei quartieri più poveri, vedendosi sbattutto in faccia quotidianamente l'imperativo di continuare a credere alla favola disneyana. I protagonisti di Un sogno chiamato Florida sono costretti a recitare una parvenza di felicità perché tutto l'ambiente che li circonda è celebrativo della magia, e dunque anche il Magic Castle Hotel deve sembrare una costruzione da parco dei divertimenti. Il motel in cui vive Jancey si chiama invece Futurland Hotel ma non c'è futuro né per lei né per i suoi amici, anzi, il loro futuro è già scritto, e non è una favola di zio Walt. Del resto lì vicino c'è l'outlet discount dei giocattoli Disney, a dimostrare che anche il parco a tema più famoso del mondo ha i suoi scarti e i suoi invenduti.
Baker segue i suoi personaggi con la stessa energia irrequieta, vitale ma sotto sotto disperata, con cui i tre bambini e gli adulti che vivono con loro affrontano le loro giornate vuote e scombinate, ed è molto bravo a ricreare quel microcosmo ai confini del mondo - il mondo Disney, si intende - che alla fine i bambini cercheranno di varcare, rompendo il muro dell'ipocrisia che li circonda, e andando a vedere per sé se davvero i sogni son desideri che possono avverarsi.