di Kei Pritsker e Michael T. Workman, Usa, 2025, 80′
The Encampments – Gli accampamenti racconta l’ondata internazionale di attivismo studentesco scatenato dall’accampamento di solidarietà con Gaza organizzato nella Columbia University di New York. Anche un’analisi superficiale rivela che le università investono in fondi legati a industrie belliche coinvolte nei conflitti, lo slogan scelto dal movimento non a caso è «Disclose, divest, we will not stop, we will not rest» («Denuncia, disinvesti, non ci fermeremo, non ci calmeremo»). Il film fa luce sul perché degli sforzi esagerati per sopprimere l’attivismo studentesco: sono esibiti i nomi dei sostenitori e i dati relativi agli evidenti conflitti d’interesse.
Segue incontro con Martina Ferlisi, giornalista di Altreconomia
«The Encampments - Gli accampamenti è una testimonianza del coraggio dei giovani studenti non solo nell'immaginare un mondo migliore, ma anche nel lottare per ottenerlo nonostante la violenza e la repressione delle istituzioni. Questo film sfida la narrativa dominante dei media rivelando il vero spirito degli accampamenti: cosa si provava a essere lì, le emozioni che alimentavano gli studenti e cosa motivava la loro azione drastica e necessaria. È un'esplorazione di ciò che spinge una generazione a ribellarsi e lottare per il cambiamento».
Kei Pritsker e Michael T. Workman
Bookciakmagazine - Lo stile di Pritsker e Workman privilegia l’osservazione frontale, a tratti quasi “embedded”, richiamando la tradizione documentaria statunitense che va dal decano Frederick Wiseman al cinema partecipativo contemporaneo. Ma qui la camera non resta neutrale: la vicinanza fisica agli studenti è dichiarata, e questa prossimità diventa la chiave per comprendere la densità emotiva del film. The Encampments è tanto un documento politico quanto uno studio antropologico sul funzionamento di un movimento. Il merito più grande del film è non cedere alla tentazione dell’idealizzazione: mostra fratture, conflitti interni, divergenze di strategia, inciampi organizzativi. La protesta appare nella sua natura più autentica: non un blocco monolitico, ma un ecosistema vivo, fatto di discussione, contraddizioni e apprendimento collettivo. Sul piano visivo, gli accampamenti rimandano immediatamente ad altri momenti simbolici della contestazione americana: dalle occupazioni contro la guerra in Vietnam ai sit-in di Occupy Wall Street. Il film non esplicita questi riferimenti, ma li incorpora nell’estetica stessa delle immagini, suggerendo che il 2024 non è un’eccezione bensì un nuovo capitolo di una storia lunga e ciclica di dissenso giovanile.
Cineforum.it - Dai primissimi giorni, infatti, l’accampamento della Columbia, che fondamentalmente chiedeva la fine del conflitto a Gaza (quello che qualche mese dopo è stato definito un genocidio) e la sospensione degli investimenti dell’università nell’industria bellica anche israeliana, è stato tacciato di antisemitismo. Gli hanno rivolto quest’accusa i principali media americani, alcuni studenti ebrei (altri invece hanno partecipato, con orgoglio, alle manifestazioni, affermando che riguardavano tutti in quanto sostenevano, con quelli del popolo palestinese, i diritti di ogni popolo), le autorità locali e la stessa amministrazione dell’università, che, a quanto afferma in forma anonima un impiegato dell’ufficio stampa, ha fin da subito indicato quali fossero i termini che era lecito e non era lecito utilizzare nella comunicazione con l’esterno (ad esempio, “Hamas” al posto di “Palestina” e “palestinesi”). Per cui poi, nel momento in cui la manifestazione si è prolungata a causa della fermezza e della determinazione degli studenti coinvolti, è stato gioco facile reprimerla con l’accusa di antisemitismo, che è la stessa che i produttori del coevo October 8 (Wendy Sachs, 2025) rivolgono a quegli stessi manifestanti, usando le espressioni "filo palestinese" e "filo Hamas" in modo intercambiabile, come se chiunque esprima solidarietà agli abitanti di Gaza sostenga implicitamente anche il terrorismo.
AgendaCinemaTorino - In un crescendo drammatico, la voce studentesca inchioda la complicità di chi non ha saputo prendere posizione per difendere Gaza, CisGiordania, Libano e l’umanità stessa: dai governi ai media mainstream, dalle istituzioni universitarie a tutte le “intorpidite” classi dirigenti. (...)
A impreziosire il racconto le interviste ai leader: Mahmoud Khalil, palestinese cresciuto nei campi profughi (oggi espulso dagli Usa); Sueda Polat, americana di origini palestinesi; Grant Miner, statunitense ebreo, e Naye Idriss, nata in Libano e trasferita negli Usa. Documentando il loro ruolo, il film rende lampante il paradosso: sono le menti più brillanti formate dall’università a ribellarsi contro l’università stessa.
Altreconomia - Più che un documentario è un vero e proprio documento, girato in presa diretta nei giorni in cui si svolgono i fatti, nell’aprile 2024 negli Stati Uniti, ma anche a Gaza, da dove parla la giornalista Bisan Owda. Bastano le immagini, infatti, a smontare la propaganda e la narrativa feroce scatenatasi fin dai primi momenti contro gli studenti, che non sono solo palestinesi ma che rispecchiano meglio di tanti proclami la multiculturalità della società statunitense. E allora, contro l’accusa tanto pesante quanto abusata di antisemitismo, bastano le immagini dei giovani ebrei tra gli accampati, mentre indossano la kippah, il copricapo ebraico, raffigurante a volte un’anguria, simbolo laico dei palestinesi. Rivendicando con orgoglio la propria fede ebraica, sono proprio loro a parlare dei diritti dei palestinesi, sono loro ad arringare le centinaia di studenti accampate dentro la Columbia, dove si svolgono la maggior parte degli eventi. Ed è ancora una di loro a dire a chi li attacca: “Non state proteggendo gli ebrei ma il vostro portafoglio”.
ComingSoon - Diretto a quattro mani da Kei Pritsker e Michael T. Workman, il film offre uno sguardo senza precedenti sul più grande movimento di protesta studentesca nord-americana dai tempi della guerra in Vietnam che, partito dalla Columbia University a New York, ha travolto le università americane ed europee. Passione, resistenza e sfide affrontate da studenti e studentesse vengono raccontate, insieme alla violenta repressione, da riprese sul campo inedite e dalle parole dei leader della protesta: giovani americani ebrei, di origini palestinesi, borsisti arrivati dal medioriente.
Tra sgomberi, arresti di massa e racconti di appartenenze, la protesta rivela gli investimenti che legano le università americane all’economia israeliana, mentre è il film stesso a fare luce sulle vere ragioni della repressione: gli studenti che rendono pubblici nomi e dati sugli investimenti bellici vanno silenziati. In un crescendo drammatico, la voce studentesca inchioda la complicità di chi non ha saputo prendere posizione per difendere Gaza, CisGiordania, Libano e l’umanità stessa: dai governi ai media mainstream, dalle istituzioni universitarie a tutte le “intorpidite” classi dirigenti.