di Wim Wenders, Usa, 1984, 150′
con Harry Dean Stanton (Travis Henderson), Nastassja Kinski (Jane Henderson), Dean Stockwell (Walt Henderson), Aurore Clément (Anne Henderson), Hunter Carson (Hunter Henderson), Bernhard Wicki (dottor Ulmer)
Un padre che invecchia sotto il cappello da baseball e un figlio bambino attraversano il Texas su un pick-up, in cerca d’una moglie e mamma perduta anni prima. Parlano di teoria del big bang e del perché lei se n’è andata. L’uomo, che aveva chiuso nel silenzio colpe e sconfitte, riscopre la parola e il senso delle relazioni umane. Li riscopre così bene che quando infine trovano la donna, in una specie di sex club dove le ragazze parlano ai clienti attraverso un vetro, senza vederli, Harry Dean Stanton può spezzarle e spezzarci il cuore raccontando una storia, che naturalmente è la loro storia. Lei è la Nastassja Kinski del 1984, e non c’è altro da dire.
“Volevamo tenere aperto il finale, perché a entrambi non piaceva scrivere un finale. Anche per le sue stesse opere teatrali, Sam non lo faceva, ma lo sviluppava dalle prove iniziali. ‘È così difficile scrivere un finale prima di girare’, disse Shepard, ‘manteniamo il finale aperto e scriviamo solo metà della sceneggiatura, e poi, mentre viaggio con te, finiamo la storia – a quel punto conosceremo meglio i nostri personaggi’.”
“Ho lavorato in questo modo su diversi film. Avevo solo i personaggi. Iniziavano a viaggiare e io li seguivo. Come in Nel corso del tempo”. […]
Wim Wenders, dal pressbook internazionale del film.
Questa sceneggiatura, di fatto, è stata concepita momento per momento. […] È stata davvero una fantastica esperienza. La migliore esperienza di lavoro su una sceneggiatura. Sentivamo un sacco di cose in comune, era sorprendente. Persino nella musica. Una volta abbiamo fatto un viaggio in macchina verso Los Angeles, io mi ero portato un sacco di audiocassette, e anche Wim, e a volte erano esattamente gli stessi motivi, blues difficile, per iniziati, come Skip James e roba del genere. Ma non semplicemente Skip James, lo stesso identico pezzo di Skip James.
Wim ha questa fascinazione per l’America, che in un certo modo ho anch’io… Ma mi accorgo che, per via del suo ‘essere europeo’, vede certe caratteristiche della cultura americana che alcuni registi americani si lascerebbero sfuggire del tutto.
Sam Shepard, pressbook del Festival di Cannes, 1984, ora in Wim Wenders , a cura di Stefano Francia Di Celle, Torino Film Festival/Il Castoro, Torino-Milano 2007
Si può fare un film perché affascinato dal nome di una cittadina texana? Wim Wenders […] lo ha fatto, partendo proprio dalla scoperta che in Texas esiste una cittadina che si chiama Paris (e che nel film non si vede mai). […]
Come spesso in Wenders il viaggio geografico è insieme viaggio interiore, alla scoperta di sé e dei propri sentimenti, affrontati con una semplicità capace di riscattare un’emotività tanto diretta da sembrare anche banale (come a volte nei testi di Sam Shepard che co-sceneggia) ma che sa toccare temi centrali come la solitudine, il senso di abbandono, il perdono di sé, la redenzione. Grazie anche alla prova perfetta di Harry Dean Stanton e della ventiduenne Nastassja Kinski.
Paolo Mereghetti, “Io Donna”, 2 novembre 2024
Dopo quasi quarant’anni, il capolavoro euro-americano di Wim Wenders è più misterioso e ipnotico che mai: uno sguardo dall’esterno sugli Stati Uniti, con la chitarra dolente e tremolante di Ry Cooder che è diventata un classico istantaneo al pari del tema di Ennio Morricone per Il buono, il brutto e il cattivo. […]
Le geografie desolate del Texas e dei sobborghi poco eleganti di Los Angeles sono colte in modo superbo, e Wenders e Shepard assecondano l’amore per i motel, con le loro strazianti insegne al neon; questo film ha fatto molto per rendere i motel il simbolo delle strade e del cuore dell’America, e li ha salvati dall’immagine negativa di Psycho e del Bates Motel. […]
Infine, ci sono le incredibili scene finali nel peep show, metafora della reciproca alienazione di Travis e Jane. Nastassja Kinski ha il compito estremamente difficile di mostrarci la storia di Jane in due sole scene. Mentre Travis inizia a raccontarle la loro storia (senza rivelare chi è), Kinski mostra come Jane sia dapprima sconcertata, poi stupita, poi commossa da quella che ancora pensa sia la fortuita somiglianza della storia con la sua, e infine devastata di fronte alla verità. La squallida solitudine e la bizzarra alienazione di queste sequenze, che arrivano dopo la più rassicurante storia di benessere domestico e del formarsi del legame padre-figlio, danno al film un impatto duraturo. È una storia angosciosa e triste, il cui significato scompare nel vasto orizzonte come su un’autostrada che si perde nel deserto.
Peter Bradshaw, “The Guardian”, 27 luglio 2022