di Tomasz Wasilewski, Polonia/Svezia, 2016, 104′
con Julia Kijowska, Magdalena Cielecka, Dorota Kolak, Marta Nieradkiewicz, Andrzej Chyra
Polonia 1990. I venti del cambiamento stanno soffiando con forza ed euforia e incertezza sul futuro sembrano dominare i pensieri delle persone. Quattro donne apparentemente realizzate decidono di attivarsi per prendere in mano le decisioni sulle proprie vite. Agata è moglie e madre ma non è felice e cerca una via d'uscita nell'amore per un sacerdote. Renata è un'insegnante ormai sul punto di andare in pensione che è attratta da Marzena, una giovane vicina di casa che è stata reginetta di bellezza e ha il marito che lavora in Germania. La sorella maggiore di Marzena è la dirigente della scuola in cui insegna Renata e ha una relazione con un medico, padre di un suo studente.
Mymovies.it. Le gomme da masticare impacchettate, insieme agli altri doni, sotto all'albero di Natale. Una pubblicità del Bounty, passata su un canale tedesco, che promette atolli, cocco, palmeti sfrangiati dal vento. Un papà lontano, che fa capolino saltuariamente da un vhs nel televisore. Polonia fine anni '80, il comunismo è caduto, il piccolo Tomasz ha quasi dieci anni. E il suo mondo, da quando il papà se ne è andato a New York per lavorare, è dominato dalle donne: sua sorella grande, le amiche di lei e sua mamma - il papà le comprerà una macchina rossa, così le ha promesso prima di andarsene - alle prese con un mondo tutto nuovo, inesplorato, pieno di promesse di libertà. Un mondo da costruire da capo. Un mondo ancora spaventosamente vuoto. Ed è precisamente quel mondo, visto attraverso gli occhi di tre donne, che Tomasz Wasilewski racconterà 25 anni dopo, diventato regista, nel sottilmente autobiografico Le donne e il desiderio.
Racconta il regista: "La caduta del comunismo, e gli anni successivi, li ho vissuti introiettando la prospettiva di mia madre e mia sorella. All'improvviso, dopo essere state per così tanto tempo senza libertà, si erano ritrovate in un mondo aperto. E si sono sentite perse. Da una parte avevano voglia di cogliere le nuove opportunità, dall'altra ne avevano paura, non sapevano come. Quando allevi un animale in gabbia non puoi aspettarti che esca se gli apri la porta: per lui ormai quella gabbia è diventata casa".
Cineforum.it. il film non ambisce a un rendiconto mimetico degli anni del disgelo (anche perché la compresenza di segni dell'occidentalizzazione e del passato recente ce la ricordiamo, ben più dettagliata, nel Decalogo kieslowskiano) anzi, si ha quasi l'impressione che a Wasilewski la filologia, in questa operazione, importi il giusto: gli serve piuttosto delineare il discrimine che intercorre, nei comportamenti umani, tra l'abbandono dell'ideologia comunista e l'affermarsi dell'individualismo di matrice capitalista. Se la prima ha prodotto orrori come il condominio/falansterio, dove l'idea di spazi da abitare collettivi e protetti ha un esito prossimo a un raggio carcerario, il secondo sembra aver già permeato le coscienze, basti pensare ai VHS di Agata, stipati sugli scaffali, e guardati su un piccolo schermo, con un esplicitato risvolto voyeuristico, negazione del cinema come esperienza plurale.
Cinematografo.it. Un film grigio, di grandi piani sequenza grigi. E poetico. Se, appena oltre il fiume Oder, in Germania e in Europa occidentale in quello stesso anno si respirava la rottura e il futuro e un mondo nuovo, in Polonia, così come c’è da immaginare anche nel resto del blocco ex socialista, il tempo si è semplicemente fermato. La fotografia è il punto di forza di questa pellicola, anche grazie alla maestria del cameraman rumeno Oleg Mutu, creatore delle luci affascinanti dei film di Cristian Mungiu e Sergej Loznitsa. Con lui i grigi diventano marroni, o beige. A dare forma al film sono proprio i palazzi popolari sono la metafora plastica della rassegnazione. Sembrano grandi gabbie per uccelli. Mancano solo le reti. Una nuova era è ufficialmente iniziata in Europa. Un’Europa che qui sembra un altro continente. Quando le storie delle quattro donne prendono il loro avvio, il mondo in cui sono immerse appare via via sempre più astratto, lontano, inspiegabile. Cosa manca a queste donne? Più o meno tutto. Come reagiscono alle condizioni date? Tristi, arrabbiate, in modi bizzarri. Critica del capitalismo? Nostalgia retro? Per il regista nato negli anni ‘80 non si tratta di nulla di tutto ciò. Quello che gli interessava era analizzare, e raccontare con il massimo del distacco possibile, il blocco emozionale delle protagoniste che trova sfogo in una sessualità egoista e straniante, in un desiderio senza vita. Notevole la capacità di questo 35enne di raccontare storie intime con uno sguardo così sensibile e attento. Certe scene avrebbe potuto girarle Bergman. È questa sensibilità nel raccontare gli abissi di vite senza vita a fare di questo film una grande prova. Benvenuti negli Stati Uniti della solitudine e dell’insensibilità.
Wasilewski in realtà non sta parlando degli anni 90 e dello spaesamento del paese, si sta rivolgendo al pubblico contemporaneo perché si guardi allo specchio. Questo panorama, accompagnato con altrettanto horror vacui dal direttore della fotografia, il romeno Oleg Mutu, che ha lavorato con Cristiam Mun giu, Sergei Loznitsa e Cristi Puiu, ci appare senza speranza perché la liberazione è più simile alla disperazione, l'energia impiegata in tante lotte si riducono a una gelida celebrazione (la scuola cambierà nome, sarà dedicata a Solidarnosc), e infine quel sentimento laico che illuminava i film di Kieslowski appare oggi spento, come se fosse scomparso ogni apologo morale, ogni elemento spirituale. Senza dimenticare che è sempre presente anche l'immancabile umorismo nero, dato dai numerosi collegamenti con una realtà in cui si può riconoscere facilmente non solo il pubblico polacco ma anche lo spettatore che abbia consuetudine con i classici di quella cinematografia." (Silvana Silvestri, 'Il Manifesto', 27 aprile 2017)