di Dagur Kàri, Islanda/Danimarca, 2015, 94′
con Gunnar Jonsson, Ilmur Kristjánsdóttir, Sigurjón Kjartansson, Franziska Una Dagsdóttir, Margrét Helga Jóhannsdóttir
Fúsi è un quarantenne che deve ancora trovare il coraggio di entrare nel mondo degli adulti. Corpulento e introverso conduce una vita monotona e dominata dalla routine, ma nel momento in cui una donna vivace e problematica ed una bambina di otto anni entrano inaspettatamente nella sua vita, Fúsi sarà costretto ad affrontare per la prima volta un grande cambiamento. Un racconto intimo e delicato, che affronta una tematica difficile, la paura dei più fragili di aprirsi al mondo.
"Una fiaba piena di fiducia nell'umanità, che forse ai più scafati sembrerà troppo tenera e buonista. A torto, però, perché 'Virgin Mountain' non ignora l'esistenza della crudeltà e tempera il tutto con la giusta dose di humour." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 6 aprile 2017)
"Chi ha visto 'Nói albinói' (2003) ancora se lo ricorda, e l'islandese Dagur Kári è tornato alla grande con questo 'Virgin Mountain'. Chi sia la montagna vergine è ovvio, meno le sfumature psicologiche, la costruzione simbolica del quadro e le pagine da romanzo di non-formazione che Kári ci regala: non è un film clamoroso, ma ha il calore e il nitore delle cose care." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 30 marzo 2017)
Mymovies.it. Ci voleva un film che arriva dalla periferica Islanda per ricordarci che si può fare un cinema intimistico (nell'accezione più positiva del termine) senza per questo dover annoiare lo spettatore con silenzi chilometrici o solipsistici intellettualismi che aspirerebbero alla dignità della cinefilia senza riuscirvi.
Dagur Kári, grazie anche alla straordinaria prestazione di Gunnar Jonsson, riesce a portare sullo schermo un corpo ingombrante che nasconde o, meglio, protegge un animo gentile che non ha ancora trovato la forza per liberarsi dalle catene di una soggezione filiale ormai soffocante.
Cineforum.it. Virgin Mountain è un po’ il “bignami” del cinema nordico degli ultimi anni, quello che è diventato quasi un genere, che abbiamo imparato a conoscere nei festival, che ci ha affascinato per i paesaggi, le luci, l’ironia amara, i personaggi sempre in crisi esistenziale, lo spirito un po’ surreale e le performance d’attore. E Virgin Mountain è un po’ tutto questo. Esempio limpido di questa koiné visiva e narrativa, il film ha dalla sua che, in fondo, è proprio un film sull’essere chi si è. E dunque ci sta anche la sua perfetta corrispondenza a un modo di fare cinema che ha un’identità precisa (o forse si potrebbe dire a una formula rodata).