di Clint Eastwood, Usa, 2019, 129′
con Sam Rockwell, Kathy Bates, Jon Hamm, Olivia Wilde, Paul Walter Hauser, Dexter Tillis
Atlanta, Georgia. Richard Jewell è un trentenne sovrappeso che vive ancora con la mamma e si considera un tutore della legge, ma in realtà svolge per lo più lavoretti di sorveglianza. Richard considera sua missione proteggere gli altri ad ogni costo: dunque, durante gli eventi che precedono le Olimpiadi del 1996, è il primo a dare l'allarme quando vede uno zaino sospetto abbandonato sotto una panchina. Questo fa sì che l'attentato dinamitardo del 27 luglio al Centennial Olympic Park abbia esiti po' meno tragici di quelli previsti dall'attentatore, e Richard diventa l'eroe che aveva sempre sognato di essere: ma la sua celebrità istantanea non tarderà a rivoltarglisi contro e a farlo precipitare dal sogno all'incubo.
Mymovies.it - Richard Jewell è una parabola su come i centri di potere - qui i mass media e l'FBI - procedano ottusamente ad appiccicare etichette e ad affibbiare ruoli, indipendentemente da quanto rispecchino la vera natura delle persone. Ed è proprio la verità che risiede in Richard Jewell, e che non corrisponde alla profilazione di lui fatta, il cuore pulsante di questa storia.
Eastwood compie una scelta davvero radicale, che verrà probabilmente equivocata da quel pubblico che lo vede ancora come un reazionario: ovvero quella di calare la vicenda in un immaginario cinematografico riconoscibile principalmente attraverso le sue maschere.
FilmTv - Eastwood confeziona intorno a Jewell un film umano e disturbante, perché qui non ci sono la sua faccia e la sua andatura un po’ legnosa sotto le quali ritrovare il ricordo di un “eroe”, non ci sono Tom Hanks o Bradley Cooper: qui c’è Paul Walter Hauser, bravissimo ma quasi sconosciuto, in bilico tra ingenuità e ottusità. È l’Omino Michelin che salva l’America, insieme a una mamma troppo mamma, a un avvocato di seconda categoria che va in giro in bermuda e sposa un’immigrata latina, a un amico dropout; salvano quello che resta dello spirito di un paese che doveva essere uguale per tutti, dove invece il potere sembra sempre più al servizio di sé stesso e i media girano impazziti alla ricerca di uno scoop (fuori da ossessioni politically correct, già negli anni 40 Billy Wilder raccontava che la stampa può anche essere cattiva e che esistono le dark lady). Un bel film di gente comune un po’ acciaccata, con due attori non protagonisti che rubano la scena (Sam Rockwell, l’avvocato, e Kathy Bates, la mamma), un’umanità rara e quello stile essenziale che sa costruire con la stessa intensità la tensione e la commozione.
Quinlan.it - Oramai prossimo alla morte Eastwood, definitivamente disilluso per quel che concerne le possibilità di una nazione perduta (lontani sono i tempi in cui ragionava dall’interno sul sistema della giustizia e sulla sua applicazione: Debito di sangue è vecchio di diciotto anni), concentra le sue attenzioni sugli affetti personali. Tutto ciò che esula dal massacro mediatico, e dai voltafaccia di un popolo che si accontenta del ballo di gruppo – la sequenza dominata dalle note della Macarena, che anticipano la tragedia, è in tal senso emblematica –, lo si può trovare solo nella famiglia, nelle amicizie durature, negli amori sinceri: un concetto che fa deflagrare alcune delle sequenze più potenti del film e che si ritrova anche nel post-scriptum/epitaffio prima dei titoli di coda. Imbolsita da una narrazione di sé che si è fatta sempre più astratta – non è casuale che la fascinazione di Eastwood vada sempre verso il western, il genere che narra un’America giovane, magari violenta ma ancora in costruzione –, la nazione avrebbe un gran bisogno di eroi, ma preferisce mandarli al massacro mediatico, politico, istituzionale.