di Taika Waititi, Germania, 2019, 108′
con Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Rebel Wilson, Sam Rockwell
Jojo ha dieci anni e un amico immaginario dispotico: Adolf Hitler. Nazista fanatico, col padre 'al fronte' a boicottare il regime e madre a casa 'a fare quello che può' contro il regime, è integrato nella gioventù hitleriana. Tra un'esercitazione e un lancio di granata, Jojo scopre che la madre nasconde in casa Elsa, una ragazzina ebrea che ama il disegno, le poesie di Rilke e il fidanzato partigiano. Nemici dichiarati, Elsa e Jojo sono costretti a convivere, lei per restare in vita, lui per proteggere sua madre che ama più di ogni altra cosa al mondo. Ma il 'condizionamento' del ragazzo svanirà progressivamente con l'amore e un'amicizia più forte dell'odio razziale.
Wired.it - La parte migliore del film sta proprio in questo contrasto tra uno scenario d’epoca e un genere moderno, nel cercare in ogni momento l’anacronismo, far parlare, muovere e cantare un bambino tedesco del 1945 come un bambino americano degli anni ‘80. Jojo (detto Rabbit perché al campo della gioventù hitleriana non è riuscito a uccidere un coniglio nella prova di coraggio e tutti lo hanno preso in giro), esce di casa correndo sulle note dei Beatles che cantano in tedesco, immagina e disegna gli ebrei come mostri e con i suoi anacronistici pigiamini interi pieni di pupazzetti fantastica assieme al migliore amico di andare a trovare Hitler in persona, il suo mito. Tutta la prima parte di Jojo Rabbit è una bomba di ritmo e trovate a sorpresa.
FilmTv - Il neozelandese Taika Waititi, ex stella dell’indie divenuto nome di punta della Marvel (e ora di Disney in generale: sua la regia del migliore episodio di The Mandalorian) traspone per lo schermo Il cielo in gabbia di Christine Leunens, con qualche cambiamento cruciale (il padre assente, tema caro al suo cinema) e uno spirito dolcemente dissacrante. Si cala nei panni di un Hitler parodico e idiota (sberleffo definitivo, dice lui, avendo origini maori ed ebree) e allestisce siparietti di umorismo paradossale (alla Wes Anderson, soprattutto nelle scene degli addestramenti della Gioventù hitleriana); mai, però, taglienti o feroci.
Il manifesto - La storia assume spessore col rapporto di Jojo con sua madre (Scarlett Johansson) uno spirito libero che in assenza del padre (ufficialmente al fronte a combattere eroicamente per il Führer) tenta di controbilanciare l’indottrinamento nazionalsocialista con amore e l’esortazione a non prendere troppo sul serio la propaganda. La comicità si complica quando Jojo scopre l’esistenza di una ragazza ebrea che la madre ha nascosto nella soffitta di casa per proteggerla dai rastrellamenti della Gestapo e la deportazione della famiglia. L’orrore per la presenza della «giudea demoniaca» (l’antisemitismo imparato è quello grottesco del villaggio di Borat) si andrà tramutando in curiosità e inevitabilmente in qualcosa di più col trascorrere del film.
Quinlan.it - Premiato a Toronto, già in marcia lungo la perigliosa strada che porta al Dolby Theatre di Los Angeles, Jojo Rabbit apre la trentasettesima edizione del Torino Film Festival e conferma pregi e limiti del cinema scoppiettante di Taika Waititi. Imprevedibile ma prevedibile, Waititi non può e forse non vuole essere corrosivo, provocatorio, cattivo. Veicola condivisibili messaggi, confeziona un delicato coming-of-age e un piccolo compendio sull’accettazione dell’altro, offre ai suoi attori ottimi ruoli (speriamo di rivedere il paffuto Archie Yates), gioca a fare l’indie in territorio major. Senza dover scomodare Chaplin o Lubitsch, Jojo Rabbit funziona abbastanza bene per gli obiettivi scelti da Waititi: prendere a pallate la Hitlerjugend per provare a parlare ai ragazzini di oggi.