di Aleksey German Jr., Russia, Polonia, Serbia, 2018, 126′
con Anton Shagin, Artur Beschastnij, Danil Kozlovsky, Elena Lyadova, Eva Gerr, Hanna Sleszynska, Helena Sujecka, Milan Maric, Piotr Gasowski, Svetlana Khodchenkova
Sei giorni nella vita quotidiana di Sergej Donatovič Dovlatov, giornalista nella San Pietroburgo del 1971 e destinato a diventare - una volta emigrato negli Stati Uniti - una delle figure più rappresentative della letteratura russa moderna. Insieme all'amico e poeta Joseph, e a tanti altri membri della comunità artistica cittadina, Dovlatov fa di tutto per non piegare la sua indipendenza creativa alle richieste opprimenti del regime, arrivando a licenziarsi pur di non cedere al compromesso.
"Ci vuole coraggio per mantenersi integri quando non si è nessuno", si ripete Sergej Donatovič Dovlatov - interpretato dall'ottimo Milan Marić - dopo essersi licenziato dal giornale in cui sbarca il lunario, per il quale i suoi articoli sono sempre troppo cupi, pessimisti, avversi alle progressive sorti del socialismo.
LA PAROLA AL REGISTA
Il mio film mostra la scena, ricca e vivace, della Leningrado dei primi anni Settanta. Né Brodsky è ancora partito per l'America né Dovlatov per l'Estonia. Ci sono ancora persistenti echi di libertà del periodo precedente, noto come il "disgelo". Sono ancora giovani, hanno trent'anni e pullulano di energia. Anche se li vediamo per la prima volta esausti e con la barba lunga, sono ancora pieni di speranza. Per me era fondamentale mostrare ciò che accadeva fuori e dentro le loro vite, mostrare come artisti di talento come loro a causa del clima politico non potevano fare ciò che volevano e cercavano di rimanere fedeli a loro stessi. Non volevo idealizzarne la figura o scavare nel torbido. Mi interessava semmai sottolineare come Dovlatov fosse in vita e come, da essere razionale, prendesse decisioni che non lo rendessero un manichino: il mio film è intriso della prosa e delle parole di Dovlatov. Ho cercato allora di raccontare un periodo conciso dell'esistenza dello scrittore, quello in cui si sono susseguiti il suo matrimonio e i suoi tentativi di trovare pubblicazione.
Quinlan.it - Sono giovani i protagonisti di Dovlatov, German li coglie nel pieno della loro energia vitale, personaggi che cadono in piedi, e tratteggia un clima fatto di momenti conviviali, di ritrovi con accompagnamento di chitarra e sax, di studi d’arte che giacciono in un incredibile disordine. Come gli uomini libro di Fahrenheit 451, i personaggi del cenacolo intellettuale di Dovlatov e Brodskij, arrivano a declamare i loro testi, a portarseli nella mente a conservarli laddove impossibile in forma scritta. German si concentra su Sergei Dovlatov proprio perché portatore della sindrome Van Gogh, l’essere celebrato solo dopo la morte non avendo mai immaginato in vita di quanto sarebbero stati riconosciuti i suoi meriti artistici.
FilmTv - L’ironia come arma di combattimento letterario fu utilizzata da Sergej Dovlatov per sgonfiare il mondo brezneviano e l’America reaganiana e dei fuoriusciti russi fascistoidi. Ma qui siamo prima dell’esilio, a Leningrado, novembre 1971. Mentre si festeggia l’Ottobre, German Jr. e Yulia Tupinika (cosceneggiatrice) seguono con delicatezza di scrittura e affettuosi movimenti di macchina (Orso d’argento Berlinale 2018) una settimana di vita “beat” adornata di luce gassosa e cool jazz, tra dolori e gioie, vodka e assoli di sax, passeggiate, party e litigate colte, noia e paranoia, di uno dei più grandi, “stilosi” e divertenti narratori russi (anzi estone, metà armeno e metà ebreo) del Novecento.