di Bong Joon-ho, Corea del sud, 2019, 132′
con Song Kang-ho, Sun-kyun Lee, Yeo-jeong Jo, Choi Woo-Sik, Park So-dam, Hyae Jin Chang.
Ki-woo vive in un modesto appartamento sotto il livello della strada. La presenza dei genitori, Ki-taek e Chung-sook, e della sorella Ki-jung rende le condizioni abitative difficoltose, ma l'affetto familiare li unisce nonostante tutto. Insieme si prodigano in lavoretti umili per sbarcare il lunario, senza una vera e propria strategia ma sempre con orgoglio e una punta di furbizia. La svolta arriva con un amico di Ki-woo, che offre al ragazzo l'opportunità di sostituirlo come insegnante d'inglese per la figlia di una famiglia ricca: il lavoro è ben pagato, e la villa del signor Park, dirigente di un'azienda informatica, è un capolavoro architettonico. Ki-woo ne è talmente entusiasta che, parlando con la signora Park dei disegni del figlio più piccolo, intravede un'opportunità da cogliere al volo, creando un'identità segreta per la sorella Ki-jung come insegnante di educazione artistica e insinuandosi ancor più in profondità nella vita degli ignari sconosciuti.
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Mymovies.it - A dispetto del titolo, però, in Parasite non ci sono creature, né immersioni nel soprannaturale: solo due famiglie, due case, e la brutale dissezione di una disuguaglianza di classe nella società tanto coreana quanto globale. Le due case - letteralmente - raccontano la storia, con gli eventi sempre più tesi e rocamboleschi che vengono incorniciati da due finestre, ognuna con quattro pannelli. La prima è una minuscola apertura ribassata su un vicolo, che lascia entrare rumori, disturbi e disinfestazioni nel salotto dei protagonisti, già impegnati a contorcersi nelle poche stanze disponibili alla ricerca di una connessione WiFi priva di password nei paraggi. La seconda è una gigantesca vetrata a parete nella villa dei Park, che "inquadra" l'ampio giardino teatro di un climax a orologeria, e invita lo sguardo esterno, d'invidia e di indagine.
Nell'era delle fratture sociali sempre più scomposte, Parasite è un'eccellente lettura del suo tempo, che Bong Joon-ho riposiziona nel verticale delle stratificazioni domestiche dopo averlo disteso sull'orizzontalità del treno in Snowpiercer.
FilmTv.press - Palma d’oro 2019 è un (grande) film popolare sul presente, in cui la lotta di classe non è tra la classi, ma nella classe, perché, direbbe Marracash, «siamo tutti quanti concorrenti». Come sono buoni, i ricchi, lassù in cima, che si eccitano coi feticci della plebe, con le mutandine economiche degli ultimi: essere gentili - dicono i miserabili - è solo parte di un privilegio. Sotto impera l’homo homini lupus, il «non chiamarmi sorellina!», l’odio belluino per il pari che è il nemico, il competitor, il sostituto possibile. Nessuna solidarietà di classe, prima di tutto l’individuo, poi la famiglia, il resto è solo da odiare, se povero, da circuire, se è ricco. E così sia.
Cineforum.it - I poveracci vogliono essere ricchi, i ricchi non perdono il vizio di essere ricchi, i poveri sono in guerra coi poveri. Eppure mi pare che Parasite, che lavora in superficie sul luogo comune della lotta di classe, guardi invece altrove: cioè all’impossibile condivisione dell’identità. E lo fa insistendo proprio sulla spazialità di mondi geograficamente distanti e psicologicamente antitetici, da una parte lo scantinato di una famiglia di miserabili, dall’altra la villa con giardino di due coniugi con figli. È qui, su questi due palcoscenici, che va in scena non uno scontro di generi o di conti in banca, non una battaglia dei sessi, bensì un conflitto per l’appartenenza. Appartenere a un Paese, a un credo, a un sentimento. Il risultato è un sistema collassato, che racconta l’inadeguatezza contemporanea a una comunanza - d’intenti, di ambizioni, di principi.
Quinlan.it - Parasite è una commedia, un thriller, un dramma. È la calzante rappresentazione della nostra società, delle sue dinamiche – un po’ paradossalmente (ma nemmeno troppo), è anche la fotografia della rigida struttura gerarchica di Cannes, della divisione in caste e delle stesse lotte intestine tra le caste, tra i fantomatici colori dei badge. Barking Dogs Never Bite. È cinema ricco di invenzioni e intuizioni narrative, apparentemente debordanti, eppure perfettamente inserite in uno schema. Nello schema. È Peele, è Loach, ma con una stordente lucidità e un ritmo travolgente. Si ride, si ride amaro, poi non si ride più. Bong colpisce duro: il flashback e il flashforward sono come un uno-due. Destro e sinistro. Al tappeto. Dura rialzarsi.