di George Clooney, Usa, 2017, 105′
con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Glenn Fleshler, Alex Hassell, Gary Basaraba
Gardner Lodge vive nella ridente Suburbicon con la moglie Rose, rimasta paralizzata in seguito ad un incidente, e il figlio Nicky. La sorella gemella di Rose, Margaret, è sempre con loro, per aiutare in casa. L'apparente tranquillità della cittadina entra in crisi quando una coppia di colore, i Meyers, con un bambino dell'età di Nicky, si trasferisce nella villetta accanto ai Gardner. L'intera comunità di Suburbicon s'infiamma e si adopra per ricacciare indietro "i negri" con ogni mezzo. Intanto, due delinquenti, irrompono nottetempo nell'abitazione dei Lodge e li stordiscono con il cloroformio, uccidendo Rose.
Filmtv.press. Pensate: se una Julianne Moore è ammaccata, la si sostuisce con la copia gemella. Facile, no? Quanto sono ariani questi americani, nei colori pastello della provincia dei fifties. Arriva una famiglia di colore e l’unica via cos’è? La xenofobia. Mentre tutta la città lincia i nuovi vicini neri, nel focolare di una bianchissima famiglia si svolge un delitto. Per nulla perfetto. Occhio non vede, perché guarda il capro espiatorio. La coreografia noir, cinica e assurda, è quella di un vecchio progetto dei Coen, una copia carbone di classe, che satireggia i modelli del cinema che fu e i piccoli miti da industria culturale, le case di bambola, i padri in versione deluxe.
MyMovies.it. Comincia con una scena madre, dunque, il film di Clooney che innesta uno script di parecchi anni fa dei fratelli Coen con la storia vera dell'ondata di violenza che scatenarono, in quegli anni, le prime installazioni di famiglie di colore nei centri residenziali della middle class bianca e xenofoba. Una scena che parrebbe uscire da "A sangue freddo", il romanzo-reportage di Capote sul quadruplice omicidio della famiglia Clutter nella provincia del Kansas, ma che diventa immediatamente altro quando l'obiettivo si ferma sullo sguardo terrorizzato di Nicky, mentre assiste impotente all'omicidio della madre. Quello sguardo di bambino, e tutti gli altri momenti di questo tipo che punteggiano il film da lì in poi (sguardi di Nicky dal ballatoio, da sotto il letto, da dentro l'armadio), ci dicono subito che anche, sotto la patina di una dark comedy in cui il primo termine pesa più del secondo, l'ultimo lavoro di Clooney è ancora una volta un moral play.
Quinlan.it. Kansas, autunno 1959. Perry Edward Smith e Richard Eugene Hickock, due sbandati, uccidono quattro componenti della famiglia Clutter, placidi agricoltori benestanti. Questo fatto di cronaca nera si tramuterà in un celeberrimo e alquanto discusso romanzo – A sangue freddo di Truman Capote – e resterà una delle chiavi di lettura della fine di un’epoca, di un’illusione collettiva. Il sogno che si tinge di nero; le case e villette con giardino che perdono tragicamente la loro verginità, imbrattandosi di sangue; la campagna che scopre quella violenza che si pensava solo urbana. Le pagina di Capote sono l’humus di un immaginario e di una narrazione degli Stati Uniti riconducibile al cinema dei Coen; al cinema di Clooney. Riecheggia quel cambiamento di prospettiva in Non è un paese per vecchi, e riecheggia anche in Suburbicon, ma beffardamente capovolto. Coenianamente capovolto. Apertamente politico, ma non stucchevole o fastidiosamente didascalico, Suburbicon è un divertissement brillante, un giocattolo che scorre su diversi binari: comicità nerissima (notevole il duetto Julianne Moore/Oscar Isaac) e suspense d’antan (la sequenza nella stanza di Nicky e poi nello sgabuzzino) incastonate in un meccanismo narrativo prevedibile ma sagacemente oliato, e il parallelo sguardo ai difficoltosi passi dell’integrazione razziale, uno scrutare quasi lynchiano tra l’erba perfettamente tagliata, in cerca di qualche brandello di carne, di vermi all’opera.