La
gabbia
dorata
-
La
Jaula
de
Oro

La gabbia dorata - La Jaula de Oro, Diego Quemada-Diez

La gabbia dorata - La Jaula de Oro

di Diego Quemada-Diez, Messico, 2013, 102
con Brandon López, Rodolfo Dominguez, Karen Martínez, Carlos Chajon, Ramón Medína

La gabbia dorata - La Jaula de Oro, Diego Quemada-Diez

Trama

Tre adolescenti guatemaltechi, Juan, Sara e Samuel, cercano di raggiungere gli Stati Uniti d'America per inseguire il sogno di un'altra vita, lontano dalla povertà in cui sono cresciuti. Alla frontiera, dopo il primo scontro con gli agenti, Samuel tornerà a casa, mentre Juan e Sara, cui si è aggiunto Chauk, un indio del Chiapas che non parla lo spagnolo, andranno avanti. Il loro sarà un percorso pieno di insidie, un cammino nella disperazione, contro tutto e tutti.

Regia

Diego Quemada-Diez

Cast

Brandon López, Rodolfo Dominguez, Karen Martínez, Carlos Chajon, Ramón Medína

Durata

102′

Paese di produzione

Messico

Anno di produzione

2013

Calendario

Le proiezioni si terranno presso: Cascina selva, via cascina selva, ozzero
giovedì 13 giugno 2019
h: 20:00
6,00 € / intero
5,00 € / ridotto soci altrovequì

Recensioni

mymvovies.it. Al centro dell'opera prima di Diego Quemada-Díez c'è il concetto di frontiera. Intesa come limite e separazione, linea immaginaria che separa i ricchi dai poveri, terre economicamente sviluppate da altre ferme sotto il giogo di una grande arretratezza. Un confine da aggirare, navigando su corsi d'acqua, strisciando in angusti cunicoli, camminando sulle rotaie di una ferrovia che dovrebbe portare al progresso, ad una realtà migliore, almeno sulla carta. Il viaggio di Juan, Sara e Chauk è quello di tutti i migranti, di uomini alla ricerca di un luogo solo concettualmente distante in cui giocarsi la possibilità di essere diversi da quello che la geografia ha scelto per loro alla nascita. Nonostante la chiarezza delle riflessioni su cui si sviluppa, La gabbia dorata non è un'opera a tesi, realizzata esclusivamente per evidenziare uno scottante problema geopolitico, ma un film in cui le tematiche affrontate aderiscono alla linea narrativa, al respiro del racconto, allo sviluppo dei personaggi. Già dalla scelta di girare in Super 16, risulta chiara la volontà di avvicinarsi a una vibrazione dell'immagine d'impianto documentario oppure, ancor meglio, a una ricostruzione affidabile di una storia che ne racchiude mille altre simili, tutte autentiche. Dentro a una rigorosa organizzazione degli spazi, restituita da una direzione artistica secca e severa, si muovono tre attori adolescenti coi quali lo spettatore instaura subito una forte empatia: anche le evoluzioni dei loro rapporti, dall'iniziale avversità che il risoluto Juan prova verso Chauk fino al totale ribaltamento, stanno a sottolineare l'importanza della condivisione, della solidarietà, il falso mito dell'individualismo.

 

ondacinema.it. Troppo matura la consapevolezza del regista per sperare in un deus-ex-machina che sciolga i nodi dell'intreccio e ci risparmi il dolore per un finale già scritto negli occhi malinconici di Juan, nel cui precario portamento da leader si profila l'insorgere di una rassegnazione, sempre tacitata da gesti di forzata spavalderia. Un pragmatismo che si scontra da subito con l'inafferrabile Chauk, fascinoso interprete di un mondo ideale, slegato dalle contingenze terrene. Oltre le barriere sociali e linguistiche, l'indio comunica con la forza primordiale della gestualità, ma non per questo le relazioni che instaura tramite il contatto fisico si rivelano meno solide e durature, come dimostra il faticoso rapporto che lo lega a Juan.

 

filmtv.press. C'è una partenza, c'è un arrivo. C'è un prima e c'è un dopo. E niente e nessuno sarà più lo stesso. I protagonisti del film proprio come lo spettatore. Questo sorprendente esordio di Diego Quemada-Díez è un lucido e spietato teorema sul valore del viaggio come rito di passaggio per un gruppetto di ragazzini che, da una delle aree più povere e malfamate, la zona 3 di Città del Guatemala, tenta di andare verso l'America passando per il Messico dove raccoglierà Chauk, un indio del Chiapas. Tre ragazzi a cui la realtà ha già fatto conoscere e superare la propria linea d'ombra: sanno perfettamente chi sono e dove vogliono arrivare. La strada, per loro migranti contemporanei d'ogni luogo, è naturalmente piena d'insidie. Cosa che rende il loro viaggio universale e senza tempo. Perché così è stato, è e sarà, nei secoli dei secoli. Un cammino, attraverso le cosiddette - un tempo - vie di comunicazione ora plastica metafora del loro esatto contrario (ponti, strade, gallerie, fiumi, binari dei treni), lastricato di ambigui e spiazzanti comportamenti degli uomini sempre diffidenti verso l'altro. Che siano, da una parte, gli yankee con la loro grande muraglia innalzata al confine messicano ma bucata, letteralmente, come una groviera (con tanto di topi umani ad attraversarla) o che siano, dall'altra, gli stessi ragazzini nei confronti dell'indio diverso.

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