di Gjorce Stavreski, Macedonia, 2018, 104′
con Blagoj Veselinov, Anastas Tanovski, Aksel Mehmet, Aleksandar Mikic, Miroslav Petkovic
Skopye, Macedonia. Vele lavora come meccanico in un deposito ferroviario dopo aver abbandonato gli studi: il fratello intelligente era Riki, il primogenito, morto in un incidente stradale insieme alla loro madre. A sopravvivere sono Vele e suo padre, malato terminale che soffre le pene dell’inferno perché il figlio minore non può comprargli i medicinali, sempre più costosi, che il disastrato sistema sanitario macedone non elargisce ai cittadini (“Non siamo mica in Svezia!”). Quando una gang criminale nasconde un pacchetto di marijuana su un vagone del deposito ferroviario, Vele se ne impossessa e recupera su Internet la ricetta per una torta alla cannabis che potrebbe essere di giovamento al padre. La ricetta funziona così bene che il padre non riesce a tenere l’entusiasmo per sè: in breve tutto il circondario viene a sapere delle virtù terapeutiche della “torta miracolosa” e identifica in Vele uno di quei guaritori cui gli abitanti di Skopye, abbandonati dallo Stato, si rivolgono. Non tarderà molto perché la gang criminale torni a reclamare il maltolto.
filmtv.press. Di fronte a L’ingrediente segreto (film vincitore del 36° Bergamo Film Meeting), l’impressione è che il regista Gjorce Stavreski abbia guardato alla commedia all’italiana invertendone però la traiettoria: se in film come I soliti ignoti o Il sorpasso (si pensi soprattutto al secondo dei due titoli) dal comico di superficie affiora in maniera evidente un trasporto funebre sempre più forte, qui, tra le pieghe del dramma sociale, riesce, invece, a trovare spazio il gioco degli equivoci. Siamo a Skopje, in Macedonia: il paese è in ostaggio di un neoliberismo selvaggio che affama i poveri cristi e li obbliga a cercare conforto nelle cialtronerie dei venditori di fumo. Come succede a Vele, operaio senza stipendio in un deposito ferroviario, costretto quotidianamente a lottare per poter comprare le medicine al padre malato di cancro, almeno fino a quando non trova su un vagone un pacco di droga. A questo punto il film comincia a seguire percorsi imprevisti e oscillando tra amore e squallore, tra cinismo e moralismo (i personaggi sono descritti con intermittente complicità), colora la tragedia di un’ironia che, a tratti, sfuma nella comicità. Stavreski gioca con un immaginario (e quindi con le nostre stesse aspettative spettatoriali), quello fatto di storie d’ordinaria tragedia e d’inarrestabile disperazione (che siamo soliti associare a un certo cinema est europeo), per poi farlo cortocircuitare con registri insoliti rispetto a quella tradizione. Ed è proprio in questo détournement, in questa operazione di straniamento che è da rintracciare il maggior merito del film.
quinlan.it. Un lungometraggio d’esordio che, sotto la patina rocambolesca e satirica, agisce quasi sotto traccia e lavora di sfumature, raccontando dell’utopia familiare di un padre e di un figlio chiamati, nonostante tutto, a ritrovarsi per assorbire un passato doloroso e lasciarlo rimarginare. Era obiettivo esplicito del regista soffermarsi sulla lotta, ordinaria e precaria, della gente comune del suo paese in una nazione piccolissima e poco considerata come la Macedonia, a suo dire schiacciata dal peso del neoliberismo in salsa balcanica. L’ingrediente segreto non a caso mette in scena un contesto sociale e assistenziale in cui la gestione delle risorse pubbliche mostra più di qualche falla e lo fa con una vena amara e sarcastica ma al contempo anche giocosa, permeata da un’ironia che vuole far sorridere ma allo stesso tempo puntare il dito, demistificare, coniugare denuncia e messa alla berlina.
mymovies.it. Il regista, sceneggiatore e produttore Gjorce Stavreski, classe 1978, descrive lo sbando di un Paese “in cui tutto finisce prima ancora di cominciare”, gravato da un atavico senso di colpa che fa dell’incidente stradale subìto da Vele e da suo padre un frattale della situazione nazionale. E lo fa con un umorismo allo stesso tempo sarcastico e compassionevole, con grande tenerezza verso il suo protagonista avvilito ma non rassegnato che si rifiuta di “pensare solo a sé” e cerca di confrontarsi col passato.
Nonostante l’evidente povertà di mezzi, che ben si sposa con quella degli ambienti in cui è girato L’ingrediente segreto, Stavreski è molto attento agli aspetti tecnici e artistici della messinscena, dalla gestione della luce e degli spazi al montaggio secco ed essenziale ai dialoghi ben calibrati che rendono credibile l’interazione padre-figlio, ma anche quella fra Vele e il collega Dzhem, apparentemente inserito nella storia come comic relief e invece funzionale alla sottotrama sul valore salvifico dell’amicizia. La regia è pulita, corretta, caritatevole, il commento musicale è minimal ma efficace e puntuale.