di Michel Ocelot, Francia, 2018, 95′
con Prunelle Charles-Ambron, Enzo Ratsito
Dilili è una piccola kanak meticcia, che arriva a Parigi, a fine Ottocento, imbarcandosi di straforo sulla nave che riporta in Francia, dalla Nuova Caledonia, l'insegnante anarchica Louise Michel, di cui diviene discepola. Nella capitale stringe amicizia con Orel, un facchino affascinante e gentile, che conosce tutto il mondo culturale e artistico della Belle Époque. Insieme a lui, scarrozzerà per tutta Parigi alla ricerca dei cosiddetti Maschi Maestri, una banda di malfattori che terrorizza la città, svaligiando le gioiellerie e rapendo le bambine.
filmtv.press. In Dilili, piccola canaca nella Parigi di début du siècle (il Novecento), indomita, arguta, curiosa, si riconosce il carattere moderno di tutti i bambini illuminati di Michel Ocelot e delle sue Mille e una notte attraverso il mondo, le culture, le etnie, le religioni. Da 40 anni sfoglia in tableau stroboscopici la Storia giapponese, mediorientale, africana, egiziana, per attraccare qui nella Belle époque restituita in fondali fotorealistici ricavati da migliaia di fotografie scattate dallo stesso Ocelot nell’arco di quattro anni. Una perfezione grafica tra ideale geometrico e fioritura art nouveau, che rispecchia il polifonico fermento artistico del tempo con i suoi maestri di letteratura, musica, danza, pittura, scultura. Convocati da Dilili, Bernahrd, Debussy, Monet, Lautrec, Curie, Claudel, Rodin & co. non sono figurine da collezione di un Midnight in Paris animato ma agenti speciali, alfieri di una cattedrale culturale insidiata da manovre correzionali oscurantiste, vero punctum di questo estasiante mystery. A ricordarci che, oggi come sempre, dietro al gioco della narrazione c’è in ballo la politica del presente (come nell’altro capolavoro ocelotiano Azur e Asmar), a dirci che occorre penetrare distanze e differenze oltre l’ornamento, gli automatismi didattici, l’intrattenimento infido (il film inizia rivelando che il villaggio africano della bimba è un’installazione museale). Le favole di Ocelot come emersioni dalla caverna platonica (talvolta letterali: nel bellissimo Ivan Tsarevitch et la princesse changeante), bussole morali, operette ironiche, voci di memoria e immaginazione. Inestimabili.
quinlan.it.
Dall’incipit di Dilili a Parigi si dischiudono discorsi e immagini del passato, da sempre presenti nelle opere di Ocelot: riviviamo i racconti di Kirikù e delle silhouette di Principi e principesse (2000), Les contes de la nuit (2011) e Ivan Tsarévitch et la princesse changeante (2016), le dinamiche fertili dell’incontro di Azur e Asmar; rintracciamo prontamente le spire e il superamento del colonialismo, la necessità di una società interculturale e – qui in maniera più evidente – costruita anche a misura di donna, di bambina. Il cinema di Ocelot scalfisce con parole e colori colonialismo e patriarcato, cerca di illuminare anche gli anfratti più oscuri, tratteggia un mondo ideale/idealizzato che in parte abbiamo dimenticato – l’Exposition universelle de Paris del 1889 e più in generale la Belle Époque, quantomeno nelle sue intenzioni e intuizioni migliori. Il cinema di Ocelot è un caleidoscopio, un canocchiale, un microscopio.