di Mike Leigh, Gran Bretagna, 2018, 151′
con Rory Kinnear, Maxine Peake, Pearce Quigley, David Moorst, Rachel Finnegan
Il giovane trombettiere Joseph sopravvive miracolosamente alla sanguinosa battaglia di Waterloo e torna a casa, a Manchester, dalla sua famiglia di umili operai. Ma un'altra battaglia si prepara da quelle parti: quella del popolo inglese del dopoguerra, ridotto alla fame dalla disoccupazione e dalla tassa sull'importazione del grano e trattato con a ferocia e ingiustizia da una magistratura ecclesiastica arrogante e violenta. Giovani radicali e meno giovani riformisti moderati prendono a riunire folle sempre più numerose, pronte a domandare in piazza il diritto di voto che la Costituzione prevede per loro. Il governo di Londra, informato dei fatti, si prepara invece a difendere i propri privilegi, affilando le armi.
filmtv.press.
Sorprendente produzione BFI, Peterloo è il prequel di Il giovane Marx e il sequel di La favorita. Set a Manchester, nord Inghilterra. Partì proprio lì, nel Settecento, un’economia di mercato con la corona in testa che sfruttava scientificamente latifondi, operai, carestie, colonie, tecnologia e disoccupazione. A Manchester Engels studiò le fabbriche tessili di famiglia e la nascita dell’antagonismo proletario, diventando nemico del Capitale e amico di Marx. Peterloo radiografa l’anima stragista della rivoluzione industriale: nei momenti di crisi acuta, e se la ghigliottina minaccia, l’odio di classe istiga le mosse più ciniche e illiberali. Londra non coordina forse, e saggiamente, grazie alla regina Anna, avidità agrarie e finanziarie, scienza politica imperialista, nazionalismo e repressione? Dopo Waterloo, la Bastiglia in fumo terrorizza ancora re Giorgio III, all’ultimo stadio di una pazzia coccolata da funzionari funzionali al suo squilibrio mentale. I giudici mandano a morte ladruncoli e spediscono a Sydney teste calde. L’habeas corpus è sospeso. I “Riot Act” reprimono. Le “Corn laws” protezioniste sbarrano il grano d’esportazione e fanno lievitare il prezzo del pane (Trump?). La stampa trasforma in truce terrorismo una patata gettata contro la carrozza del re. Le truppe di Wellington son degradate a celerini. Il film, dal ritmo incalzante, filologicamente corretto, secondo la tradizione, per scene, costumi e parrucche, adotta uno sperimentale stile reportage. Come pensa e manovra, minuto per minuto, il “comitato d’affari della borghesia”? È il secco spirito rosselliniano della Comune di Parigi di Peter Watkins, a sorprenderci. Mike Leigh, di solito, è più direttamente sanguigno, punk e irriverente. Qui viviseziona glaciale le ferite rimosse del massacro di St. Peter’s Field del 16 agosto 1819: “Peterloo”, in assonanza sarcastica con Waterloo. Terrorizzò la ricomposizione proletaria: un gigantesco corteo di operai e operaie tessili del Lancashire, impoveriti dalla crisi e da leggi ad hoc che la fanno pagare ai più deboli, fu fiancheggiato da contadini e artigiani infuriati, ma disarmati, più i figlioletti. 80 mila persone, organizzate da sindacalisti e da donne rivoluzionarie con il sostegno della stampa conservatrice. Hunt, leader riformista londinese, chiede in piazza pane e suffragio universale, visto che nella popolosissima zona notabili eleggono solo notabili. Prefetti, re, polizia, spie, giudici e padroni usano intercettazioni illegali, provocazioni e teppisti per isolare gli estremisti e picchiare tutti gli altri, facilitati anche dalle rigidità etiche della sinistra moderata di origine borghese (no alle armi!). I pericolosi sanculotti son dispersi a sciabolate. Dalla finestra i boia ammirano. 15 morti, oltre 600 feriti, bimbi compresi, è la foto in 4K della più invidiata democrazia liberale. Leigh, veterano del cinema di combattimento, tocca il vertice della sua arte sfottente. Più sembra distante, più il suo cuore pulsa. Perché è di Manchester, racconta le sue radici. E scova in quella criminale operazione di “pulizia etnica”, commuovendoci, la prassi razzista odierna di multinazionali e succedanei contro i proletari vaganti del mondo.
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Peterloo parla anche al presente, in più di un modo. È il ricordo del lungo e sacrificale cammino che ha portato alla democrazia contemporanea, alle libertà e ai diritti civili che tutela, ma è anche impossibile non leggere, tra le immagini di piazza di quell'estate di due secoli esatti fa, eventi assolutamente più recenti: ragazzi, ragazze, signore, giornalisti, tutti disarmati, presi a spintoni e bastonate, impossibilitati a mettersi in salvo per il blocco delle vie di fuga. "Qualcosa cambierà e qualcosa rimarrà sempre uguale" afferma il vecchio padre di Joseph, tentando di immaginare il futuro, alla vigilia della grande manifestazione. E infatti qualcosa permane: oggi come allora una patata scagliata per protesta contro la carrozza del potere ci mette un attimo a diventare, nel passaparola popolare quanto in quello ufficiale, una pietra, poi due proiettili, financo una cannonata. E Leigh dedica una grande parte del film all'arte della parola e alle sue degenerazioni, non solo per distinguere i danni dei discorsi non verificati dalla missione del buon giornalismo ("Dovremo raccontare i fatti di oggi nei minimi dettagli", dice il cronista londinese ad un collega, sui resti della carneficina, ed è possibile che il regista abbia obbedito alla stessa dichiarazione d'intenti), ma anche e soprattutto confrontando l'oratoria dei radicali con la retorica dei rappresentanti del regime.
Entrambi le parti, all'epoca, necessitavano del ricorso ad un'esposizione orale per immagini quanto più vivida e ardita possibile, ma erano i loro scopi a differire. Il cinema mentale dei potenti dell'ancient régime era compiaciuto e feroce, formale e aggressivo. Quello degli oratori del popolo poteva apparire esagerato, ma serviva a far sognare un modo più giusto.