di Babak Jalali, Italia, Messico, Francia, Paesi Bassi, 2018, 111′
con Rod Rondeaux, James Coleman (II), Michele Melega, Florence C.M. Klein, Wilma Pelly
Nella riserva indiana di Prairie Wolf vive la famiglia degli Denetclaw, appartenente alla tribù dei Lakota Sioux. Li raggiunge la notizia della morte di Floyd, il figlio minore, morto in combattimento in Afghanistan e inizia l'attesa del corpo del ragazzo che deve essere riportato a Prairie Wolf per la sepoltura. Wesley, il più giovane dei figli ancora vivi, è un alcolizzato. La morte del fratello sembra non aver nulla a che fare con lui, l'unico scopo delle sue giornate è procurarsi della birra. Quando tra le due comunità, i nativi e i bianchi, si raggiunge un livello di massima tensione, scoppia una violenza da cui Wesley è direttamente colpito. Raymond, il fratello maggiore, è un ex-alcolizzato con una moglie e due figli. Nonostante senta una forte responsabilità verso l'intera famiglia, sembra troppo avvilito e chiuso in se stesso per fare qualcosa al riguardo.
mymovies.it. Le lancette dell'orologio si muovono in modo diverso quando lo scorrere delle ore é scandito dal numero di lattine di birra consumate in una terra di nessuno, desolata come quella evocata da Thomas Stearns Eliot. Lo sapevamo già dai western d'epoca che di pellerossa ne uccideva tanto il whisky quanto il Winchester ma vedere questa strategia ancora in atto nel secondo millennio non solo intristisce ma indigna.
Jalali si premura di ricordarci che finché sono in giovane età e quindi non ancora devastati dall'alcol, i discendenti dei Sioux vengono considerati 'americani' da mandare a morire lontano dalla loro land. Salvo farli ritornare in una bara cercando poi di abbassare l'entità dell'indennizzo dovuto.
ilmanifesto.it. L’AZIONE avvenuta in terre lontane si percepisce estranea alle desolanti immagini di una vita senza via d’uscita, dove solo l’alcool rende sopportabile l’inerzia e scandisce il passare del tempo, sempre che si riesca a procurarsi qualche lattina di birra, poiché è merce proibita all’interno della riserva. La terra che un cartello impolverato indica come «This is an indian country» è abitato da nativi dall’espressione impenetrabile, individui seri e silenziosi proprio come si suggerisce nei western, ma qui la cinepresa indugia su ogni piega del volto alla ricerca di racconti antichi, sopraffazioni, vite senza speranza, volti ripresi nel vano di un pick up, nel riquadro di una porta. Un fratello perso nel delirio alcolico, che vaneggia di cacciatori di indiani scuoiati per farne burattini con l’aiuto di un prete, l’altro fratello che cerca di risolvere i problemi confrontandosi come può con i «bianchi», con criteri a loro poco comprensibili, se si tratta di denaro, di onore, di giustizia.
Le due comunità sono contrapposte, i bianchi hanno lo spaccio degli alcolici, i nativi devono lottare per disintossicarsi dall’alcool e i conflitti che sorgono sono un accenno doloroso a quelli secolari e mai risolti nel paese, e ormai sono lontane anche le dimostrazioni ufficiali di Marlon Brando e l’impegno di Kevin Costner (di origini lakota): in Land troviamo un mondo senza via d’uscita.
Ci sono scene nel film che sintetizzano quanto lontani siano i diversi riferimenti, quanto difficile l’allineamento dei tempi: distillato di antiche usanze quello dei nativi, sbrigativo e indirizzato al guadagno quello degli altri che sfruttano la situazione. Risalta ancora di più lo scenario ricordando quanto opposta sia la situazione di altre diverse riserve (ora si parla del quaranta per cento), quelle che fanno affari e gestiscono i Casinò controllando il gioco d’azzardo..
IL REGISTA Babak Jalali di origini iraniane, cresciuto a Londra, con esperienze anche a Parigi e a Roma ha scelto Tijuana come location, proprio vicino al muro con il Messico e suggerisce altri luoghi di confine, uno scenario anche personale. Racconta questa terra di frontiera come quella in cui lui è nato, nel nord dell’Iran, trovando similitudini tra i diversi tipi di isolamento, di chi mai ha lasciato la sua campagna nella sua vita. Nel suo film d’esordio Frontier Blues raccontava l’isolamento che segnava l’Iran dal Turkmenistan (e poi in Radio Dreams le rock band, in Land interessanti sono i flash sonori ). Il film è stato presentato nella sezione Panorama al festival di Berlino del 2018, da un progetto sviluppato dal Torino Film Lab (con Mibact e Rai Cinema)