di Claude Barras, Francia, 2016, 70′
con Doppiatori italiani: Lorenzo D'Agata: Icare "Zucchina" Lucrezia Roma: Camille Riccardo Suarez: Simon Stefano Mondini: Raymond Gabriele Meoni: Ahmed
Zucchino non è un ortaggio ma un bambino (il cui vero nome era Icaro) che pensa di essersi ritrovato solo al mondo quando muore sua madre. Non sa che incontrerà dei nuovi amici nell'istituto per bambini abbandonati in cui viene accolto da Simon, Ahmed, Jujube, Alice e Béatrice. Hanno tutti delle storie di sofferenza alle spalle e possono essere sia scostanti che teneri. C'è poi Camille che in lui suscita un'attenzione diversa. Se si hanno dieci anni, degli amici e si scopre l'amore forse la vita può presentarsi in modo diverso rispetto alle attese.
Mymovies.it. Ci sono dei film (rarissimi) capaci di infrangere una serie di tabù (anche della categoria del politically correct) consapevoli di avere dalla propria parte uno sguardo carico di quell'umanità profonda che rivela un'altrettanto profonda e partecipe conoscenza dei soggetti portati sullo schermo. Il film ha trovato il proprio punto di partenza nel libro "Autobiographie de une Courgette" ma è Céline Sciamma, al suo top nella scrittura, che ha saputo fornirgli il giusto equilibrio tra dramma, commozione e speranza.
Perché ci viene ricordato quanto sia intensa la sofferenza di un bambino che vive una condizione familiare disastrata (la mamma di Zucchino era alcolizzata e lui conserva di lei come ricordo una lattina di birra vuota ma i suoi compagni non hanno vissuto meglio). Ci dice però anche che si può sfuggire allo stereotipo cinicamente pessimista secondo il quale 'tutti' gli istituti per minori sono luoghi di detenzione in cui trascorrere mesi o anni in cui i soprusi sono pane quotidiano.
Ansa. Girato con lunghi piani-sequenza che portano lo spettatore negli spazi più diversi compreso il sogno, “Ma vie de courgette” è un piccolo prodigio di quella tecnica d’animazione cara a Tim Burton e sempre meno frequentata dal cinema commerciale poiché richiede tempi lunghi, professionalità e pazienza: in questo caso sette anni di gestazione e quasi tre di lavorazione.
Corriere della Sera. Con un’essenzialità tanto efficace quanto coinvolgente, La mia vita da Zucchina ha bisogno solo pochi minuti (fino all’incontro con il poliziotto ne son passati 7) per trasportare lo spettatore in quel misto di malinconia e delicata comicità che è la chiave per entrare in questo capolavoro di animazione e di poesia dedicato all’infanzia e ai suoi temi più dolorosi.
Il Sole 24 Ore. Non è solo la perfezione tecnica a colpire del film di Barras, è la sensibilità con cui vi si guarda al mondo dell’infanzia e si sa parlare all’infanzia, trattando peraltro della più disastrata, quella a cui il mondo adulto ha fatto più male.
La Stampa. Animazione in stop motion di personaggi in plastilina dalle teste tonde e gli enormi occhi sgranati, La mia vita da zucchina è un incantevole romanzo di formazione narrato con perfetto equilibrio di toni.
Il Manifesto. Poche volte come qui l’infanzia riesce a trovare una sua voce autonoma con cui esprimere sogni e pensieri, fino a quelli più segreti, senza passare attraverso quei codici di un genere «da piccoli» maggiormente in agguato vista la condizione di «ragazzini difficili» dei protagonisti.