di John Carroll Lynch, Usa, 2017, 88′
con Harry Dean Stanton, David Lynch, Ron Livingston, Ed Begley Jr., Tom Skerritt
Alla soglia dei novant'anni Lucky tiene fede al suo nomignolo. Pur fumando un pacchetto di sigarette al giorno e bevendo alcolici, le sue diagnosi mediche sono impeccabili. Ma dopo una caduta comincia a temere la morte e la solitudine.
Quando in un film tutto è prevedibile, ma il fatto che lo sia non ha alcuna importanza. Lucky è un film di attori, anzi di attore: un Harry Dean Stanton alle prese con la performance di una vita, in cui infonde elementi autobiografici e schegge delle maschere indossate in passato. Una parabola sulla paura della morte e su come affrontarla per ritrovare interesse e stupore nella vita.
"Harry Dean Stanton, caratterista di molti film nell'arco di sessant'anni, di cui i più memorabili negli anni Settanta, protagonista di 'Paris, Texas' di Wim Wenders, è morto il 15 settembre scorso. 'Lucky', suo ultimo film, è un omaggio alla sua presenza scenica. (...) Lo stile del film è volutamente inattuale come il suo protagonista, fatto di piccole scene senza climax. Questo, insieme all'interazione tra il corpo del protagonista e i luoghi (tra California e Colorado) gli dà un piccolo e genuino fascino. Il regista Lynch è a sua volta un noto caratterista di cinema e tv e non è parente di David, il quale però interpreta un curioso ruolo secondario." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 30 agosto 2018)
Quinlan.it. Lucky, in concorso a Locarno, non ha una struttura narrativa lineare e definita proprio come non può averla la vita del protagonista, che rimane in attesa, sospeso, della falce della nera mietitrice. Un film che sembra guidato dall’improvvisazione, (...) un film che gravita tutto attorno al corpo di Harry Dean Stanton ed è in fondo l’omaggio di un attore caratterista come John Carroll Lynch a un altro grandissimo caratterista.
Mymovies.it. Un omaggio cinefilo a un'icona del cinema, la cui associazione con il deserto, che circonda la cittadina in cui il film è ambientato, rimanda immediatamente a Paris, Texas. E insieme ad altre mille interpretazioni di una carriera lunghissima: come quelle con David Lynch - nessuna parentela con John Carroll Lynch, il regista di Lucky - che qui si ritaglia il ruolo di un altro anziano solitario, più eccentrico e meno cinico di Lucky, fissato con una testuggine centenaria fuggita di casa. Metafora forse ovvia, ma ottimamente gestita, di un mondo che sopravvive al passaggio dell'uomo, alla caducità di esistenze che si affannano a lasciare un segno indelebile. Tra tumbleweed che rotolano e tartarughe che si trascinano, scorre un piccolo film in cui cinismo e sentimenti possono felicemente convivere. Dove il lucido ateismo del protagonista è destinato a smussarsi e scendere a patti con la paura del vuoto, senza per questo compromettere gli ideali di una vita.