di Jafar Panahi, Iran, Francia, 2025, 105′
con Vahid Mobasseri, Ebrahim Azizi, Mariam Afshari, Hadis Pakbaten, Majid Panahi, Mohamad Ali Elyasmehr
Padre, madre e figlioletta percorrono di notte una strada in auto quando un cane finisce sotto le ruote. Ciò provoca un danneggiamento al veicolo che costringe ad una sosta per la riparazione temporanea. Un uomo che si trova sul posto cerca di non farsi vedere perché gli è parso di riconoscere nel conducente dell'auto un agente dei servizi segreti che lo ha sottoposto a violenza in carcere. Riesce successivamente a sequestrarlo ed è pronto a seppellirlo vivo quando gli viene il dubbio che si tratti di uno scambio di persona. Cercherà conferme in altri che, come lui seppure in misure diverse, hanno subito la ferocia dell'uomo.
OLTRE IL CONFINE
Nel corso della ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma il regista iraniano Jafar Panahi riceverà il premio alla carriera: ne approfittiamo per riproporvi il ritratto del regista (con filmografia) che gli abbiamo dedicato su Film Tv n° 40/2022.
di Roberto Manassero, 21/10/2025
Jafar Panahi, arrestato l’11 luglio 2022 e condannato a sei anni di prigione dopo essersi presentato nell’ufficio del pubblico ministero di Teheran che tre giorni prima aveva fermato i colleghi Mostafa Aleahmad e Mohammad Rasoulof, è il regista simbolo della resistenza e della militanza del cinema contro le forme ancora presenti di potere invasivo e censorio. Fermato e interrogato dalla polizia iraniana più volte nel corso della carriera, il 1º marzo 2010 Panahi era già stato incarcerato e poi condannato a sei anni di reclusione, a 20 d’interdizione dal girare film e dal lasciare il paese per aver cercato di realizzare un documentario sulle proteste popolari seguite alla rielezione di Ahmadinejad. Nonostante ciò - grazie al fatto che la sentenza non è mai diventata esecutiva per la popolarità internazionale di Panahi -, da allora questo regista di cui abbiamo imparato a riconoscere il volto bonario e lo sguardo tagliente ha girato ben cinque film, prima dalla sua abitazione, dov’era stato confinato, poi tra le strade di Teheran e nelle campagne dell’Iran.

Taxi Teheran (2015) Jafar Panahi
Con uno di questi, Taxi Teheran, Panahi ha vinto l’Orso d’oro a Berlino nel 2015, mentre con l’ultimo Gli orsi non esistono, Premio speciale della giuria a Venezia 79, ha addirittura raccontato il superamento del confine tra Iran e Turchia, sia con il cinema (con le riprese a distanza di un film girato dai suoi collaboratori in terra straniera), sia con il suo corpo, in una scena straordinaria (vera? Falsa? Chissà...) che da un passo di montagna osserva la libertà irraggiungibile per chi non può partire e ha comunque deciso di restare. Il confine e la linea sono gli elementi attorno ai quali ruota la filmografia di Panahi, dall’esordio nel segno di Abbas Kiarostami con Il palloncino bianco (1995), che inserisce la finzione nei tempi antinarrativi della realtà, al ribaltamento concettuale di Lo specchio (1997), che per primo supera un altro tipo di confine, quello cioè tra il personaggio e il regista, il campo della finzione e il controcampo della troupe intenta a girare.
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ComingSoon - Il ritorno di Panahi è un altro gioiello di semplicità e straordinaria profondità che vanno avanti a braccetto. Una capacità di mettere in scena persone comuni e avvenimenti apparentemente banali e quotidiani che innescano una cascata di avvenimenti capaci di mettere in discussione la convivenza sociale dell'Iran, ma sempre più di noi tutti. Una scelta morale, in un contesto sempre più autoritario in tutto il mondo sono al centro del film più politico del regista, in cui si pone frontalmente contro chi applica la violenza e le torture di un regime liberticida. La prima scena e l'ultima sono l'emblema della grandezza di un vero maestro delle piccole cose.
Quinlan - Sebbene sia facile e non per forza inesatto leggere Un semplice incidente come una messa alla berlina del sistema vigente a Teheran, di cui come ben si sa Panahi è un severo oppositore – al punto da essere stato in più occasioni punito dalla legge – il film in realtà si articola come una disquisizione sul dovere morale di agire contro chi vessa, e sul significato dell’aggettivo spietato di fronte a chi tale lo è stato davvero, senza porsi chissà quali rovelli morali, e senza in alcun modo cercare di sfuggire alle griglie rigide del sistema. (...) Panahi non sta parlando dell’Iran attuale, ma della necessità di combattere il fascismo con la lotta come unico viatico per sperare di trovare una soluzione sulla quale, a scanso di equivoci, il cineasta è compiutamente pessimista. Scritto in punta di penna, con una qualità dello sviluppo della narrazione che sarebbe utile far studiare a molti giovani registi che si affidano alla facile coccola del ghiribizzo arthouse (si pensi alla sequenza in ospedale, per esempio), Un semplice incidente è un capolavoro contemporaneo, un lavoro di sublime pulizia intellettuale, cinematografica, politica, forse il parto artistico più compiuto e radicale del suo autore.
Ondacinema - "Un simple accident" si configura così come un inno all’umanità in forma di campionario di ciò di cui siamo capaci: dalle nefandezze più cupe ai gesti più nobili e disinteressati. Solo un capolavoro assoluto è capace di tanto, cioè di toccare ogni emozione e corda dello scibile umano tramite una vicenda tanto semplice e povera di mezzi.