di Rich Peppiatt, Irlansa, 2024, 105′
con Móglaí Bap, Mo Chara, DJ Próvaí, Michael Fassbender, Josie Walker, Fionnuala Flaherty, Adam Best
Nella Belfast post-conflitto, emerge il turbolento trio rap KNEECAP, che getta le basi per la rinascita della lingua irlandese contro l’establishment. Liam Óg e Naoise, autoproclamatisi “feccia di bassa lega”, insieme all’insegnante JJ, diventano un simbolo politico e la voce di sfida della gioventù irlandese inquieta. Mentre lottano per lasciare un segno nel mondo e le pressioni familiari e relazionali minacciano di staccare la spina ai loro sogni, il trio intreccia una narrazione che trascende la musica. Una favola vera sull’impulso intrinseco dell’uomo all’identità, sul fascino delle droghe e sulla passione per la vita, KNEECAP è una corsa emozionante che pulsa di ritmi hip-hop.
sul set, sono stati sempre d’accordo?
Sono sempre stati molto disponibili. Hanno capito che il film non poteva essere solo un esercizio di pubbliche relazioni, doveva essere qualcosa di reale. Doveva mostrare il lato buono, brutto e cattivo. Hanno rispettato la distanza creativa e non hanno mai cercato di intromettersi nella sceneggiatura. L’unica cosa su cui sono stati irremovibili è che tutti dovevano avere parti uguali nel film. Questa cosa mi ha causato non pochi problemi, perché è molto difficile scrivere un film con tre protagonisti. Ci sono pochissimi film, anzi, non credo di conoscerne nessuno, con tre personaggi principali. Non c’era un vero e proprio modello su come farlo. A volte mi dicevano: «Ehi, non credo di avere abbastanza tempo sullo schermo». E io rispondevo: «Ragazzi, avete tutti un sacco di cose che succedono nel film. Rilassatevi».
Il genocidio a Gaza ha risvegliato molte persone, nel bene e nel male. Perché i Kneecap ci tengono tanto ad amplificare il messaggio?
Ho questo ricordo di noi al Sundance nel 2024, quando il film è stato presentato. C’era una protesta a favore della Palestina. All’epoca sembrava controverso, ma i Kneecap parlavano pubblicamente di quella questione molto tempo prima. Ora vediamo sempre più persone nel mondo dell’arte e della politica dire le stesse cose che davano problemi ai ragazzi 18 mesi o due anni fa. Sono stati molto coraggiosi a esporsi tra i primi. Lo fanno perché il loro popolo ha subito un’oppressione simile.
Estratto dall'intervista al regista su Rolling Stone - leggi tutto QUI
MyMovies - Uno dei casi cinematografici dell'anno scorso, grande successo in Inghilterra dopo la presentazione al Sundance, arriva finalmente in Italia: la vera storia del trio Kneecap diventa un biopic musicale sui generis, dichiaratamente ispirato a Trainspotting e L'odio. (...) Un generale clima di rabbia, insoddisfazione, frustrazione aleggia dunque nell'Irlanda del Nord raccontata dal film: una nazione che ha interrotto una striscia di sangue lunga secoli, ma non ancora pacificata. In questo clima incendiario nascono sia le canzoni dei Kneecap, coi loro testi elaborati, intuitivi, esaltanti, provocatori (su droga, sesso, sballo, politica, ribellione), sia il film a loro dedicato, per il quale il regista ha inizialmente intervistato i suoi tre membri e poi chiesto loro d'interpretare sé stessi.
Sentieri Selvaggi - Kneecap è infatti, prima d’ogni altra cosa, uno squarcio psichedelico, sboccato ed estremamente vitale nella disperazione buia di quella classe operaia costretta fino ad oggi (o quasi) al silenzio e all’isolamento. Una boccata d’aria fresca che, al pari di 8 Mile, racconta la musica come unica via di fuga, nonché come forma d’espressione artistica capace di abbattere con forza le barriere sociali e razziali altrimenti imposte dal governo britannico ai cittadini (irlandesi e non), sempre più frustrati, tristemente remissivi e abbandonati a loro stessi.
Cinefacts - La rivitalizzazione delle lingue cosiddette minoritarie o regionali è spesso una delle istanze fondamentali dei processi di autonomia o indipendenza. L’hip-hop irlandese dei Kneecap non solo si inserisce nel discorso, ma se ne fa parte integrante e uno dei principali promotori anche verso le nuove generazioni, senza che si passi necessariamente attraverso l’istituzione scolastica. Unendosi poi al racconto delle difficoltà, delle paure e delle istanze di una generazione intera, quello dei Kneecap diventa un messaggio in cui tanti possono riconoscersi. La lingua si fa anche scontro generazionale, tra padri che hanno vissuto un conflitto e figli che ne hanno dovuto raccogliere i cocci: ciò è riassunto perfettamente dal personaggio di Arlo, un ottimo Michael Fassbender che sedici anni dopo il potente Hunger di Steve McQueen, in cui ha dato corpo e voce a Bobby Sand, attivista repubblicano morto dopo uno sciopero della fame, torna in un film che in maniera singolare ne è un po’ la continuazione, quasi una seconda parte.