di Kathryn Bigelow, Usa, 2017, 143′
con Algee Smith, Anthony Mackie, Ben O’Toole, Chris Chalk, Ephraim Sykes, Gbenga Akinnagbe, Hannah Murray, Jack Reynor, Jacob Latimore, Jason Mitchell, John Boyega, John Krasinski, Joseph David-Jones, Kaitlyn Dever, Laz Alonso, Leon G. Thomas III, Malcolm David Kelley, Nathan Davis Jr., Peyton ‘Alex’ Smith, Will Poulter
Nel 1967, in piena epoca di battaglie per i diritti civili da parte degli afroamericani (Martin Luther King sarebbe stato ucciso nel ’68 sul balcone del Lorraine Motel di Memphis), nel ghetto nero di Detroit ebbe luogo una rivolta scatenata da una retata della polizia in un bar dove si vendevano alcolici senza permesso. Il governatore del Michigan inviò la Guardia Nazionale a sedare la rivolta, e il presidente Lyndon Johnson gli fece dare man forte dall’esercito. L’episodio paradigmatico di quel tumulto fu il sequestro di un gruppetto di giovani uomini neri e di due ragazze bianche all’interno del Motel Algiers: un episodio di brutalità da parte della polizia (con il fiancheggiamento di alcuni militari) che è una ferita nella coscienza dell’America.
Negli Stati Uniti il massacro del Motel Algiers è molto noto, lo è invece molto meno nel resto del mondo. E la scelta di Kathryn Bigelow di concentrare la propria attenzione su quell’evento accaduto cinquant’anni fa è parte della generale riflessione che il cinema americano sta facendo sulla “questione afroamericana”.
Mymovies.it. Bigelow, come sempre, si muove in piena autonomia espressiva, e sono davvero pochi i registi con la sua capacità di creare una messa in scena ampiamente spettacolare e profondamente coinvolgente. Ma la messa in scena non è tutto, specialmente quando si tocca un nervo scoperto nella coscienza di una nazione.
Con la sua camera a mano, nervosa e inquieta come il momento storico che racconta, con quella regia muscolare concentrata sull’azione più che sull’introspezione la regista ci ficca in mezzo al clima elettrico dell’epoca, e poi ci chiude tutti in quel motel senza poterci sottrarre a ciò che sta per accadere, come non hanno potuto farlo i diretti interessati. Ciò che succederà è un’escalation di violenza, intimidazione e umiliazione dell’uomo (bianco) sull’uomo (nero)
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Cineforum.it Kathryn Bigelow – nonostante un breve prologo di contesto, per altro pieno di inesattezze – decide invece di dare una forma alla sua rappresentazione di segno opposto, tutta giocata sull’incertezza e la contingenza dell’evento visto dall’interno. Il film inizia con una retata della polizia nella festa di un locale semiclandestino popolato da soli neri, che contravvenendo alla proibizione della vendita di alcolici viene chiuso in fretta e furia. L’arresto di massa che ne consegue finisce, quasi per caso, per provocare la reazione violenta dei presenti che si intensifica fino a diventare un vero e proprio riot e poi una sommossa generalizzata a tutta la città. Tuttavia è soprattutto la forma dell’immagine a colpire: un’instabile e frenetica camera a mano piena di movimenti irregolari, e un insieme confuso di molte voci a volte difficili da isolare l’una dall’altra.
Quinlan.it. Kathryn Bigelow non ha alcuna intenzione di lasciare alcunché al caso, e costruisce il suo film cercando di dettagliare in maniera particolareggiata gli eventi: l’incipit diventa dunque a suo modo una monumentale narrazione di un’America confusa, amareggiata, in cui le divisioni razziali e il predominio della classe bianca – eternamente dominante – aveva spinto la situazione al collasso, con tutte le inevitabili conseguenze del caso. (…) Detroit, senza mai uscire dal contesto storico, allarga la visuale al sistema statunitense nel suo complesso, lo giudica mostrandone l’iniquità nel giudizio – al processo i tre poliziotti colpevoli di omicidio e di violenze ripetute su innocenti vennero assolti con formula piena –, lo guarda con la mestizia con cui si potrebbe osservare un sogno svanito all’alba, magari mentre ci si mette in marcia per andare a lavorare per la Ford, per costruire quelle macchine che poi potranno essere comprate e guidate quasi solo da bianchi, sicuramente da padroni che non lasceranno che una piccola mancia e una pacca sulle spalle a quella classe operaia costretta a vivere di nulla, o quasi.