Sotto

le

foglie

Perché lei lascia così tanta libertà allo spettatore?
Perché penso che siate intelligenti. E perché penso che nella vita non si sappia tutto. E certe volte si giudica in un certo modo per poi rendersi conto, magari anni dopo, che si era giudicato male, che mancavano elementi che avrebbero permesso di comprendere, come accade qualche volta con gli errori giudiziari.

Ci dice anche che la felicità di una persona si può costruire sull’infelicità o l’annientamento di un’altra. Un’idea forte.
La realtà è molto spesso così. Nella mia storia forse è stato commesso un crimine, forse no. O meglio io so esattamente che cosa è successo, ma voi no. Vi tocca decidere da soli, io non vi aiuto. Anzi, vi do un altro indizio. Credo che il mio sia un film sull’inconscio: spesso noi sogniamo, desideriamo che succedano certe cose, anche atroci. Poi, nella realtà, talvolta quelle cose accadono esattamente come le abbiamo sognate. La figlia è un peso per la madre, la relazione è tossica, la madre cerca di essere buona con lei, ma la situazione non migliora e improvvisamente il destino offre la soluzione. Un equilibrio si ristabilisce.

In America forse oggi non avrebbe potuto fare un film, come questo, in cui bene e male sono concetti sfumati.
In America non avrei potuto lasciare margini di ambiguità, tutto avrebbe dovuto essere chiaro, spiegato, nulla lasciato fuori campo. E io penso che il fuori campo sia importantissimo. È importante avere attori che non hanno paura dell’ambiguità. Hélène Vincent, quando le ho raccontato il personaggio, mi ha detto: «Praticamente è la storia della mia vita, anche io ho abitato in Borgogna e poi sai, con mio figlio…». «Wow! Hélène, hai ucciso qualcuno?» le ho chiesto. Ma lei mi ha giurato di no.

Tratto dall'intervista al regista su IoDonna, 13 aprile 2025