di Claudia Brignone, Italia, 2023, 75′
È estate a Napoli, e sotto la chioma generosa di una magnolia nel parco del Bosco di Capodimonte, un gruppo di donne si incontra ogni settimana. Sono future madri e portatrici di nuove domande. Insieme a Teresa, un’ostetrica dall’esperienza profonda e dallo sguardo accogliente, riflettono sul cambiamento che stanno vivendo. Sedute in cerchio, si raccontano: le voci si intrecciano, i dubbi si fanno eco, e le paure trovano spazio per trasformarsi in forza condivisa.
Il film segue queste donne non solo nei loro momenti collettivi, ma anche nella loro intimità: durante le visite e i parti, nei primi attimi in cui la nascita ridefinisce la loro identità. Attraverso frammenti di vite, il film intreccia una riflessione profonda sul diventare madre e sul bisogno sempre più urgente di fare comunità.
Tempo d’attesa non è soltanto il racconto di un’esperienza condivisa di preparazione al parto, ma un’esplorazione su cosa vuol dire oggi per le donne mettere al mondo dei figli. Attraverso le loro storie, le donne del cerchio ci offrono uno sguardo su un cambiamento epocale in cui la maternità diventa una lente per osservare la condizione femminile e riscriverne bisogni e desideri.
Ospiti in sala la regista Claudia Brignone e Sandra Cetto, levatrice.
Film inserito nel programma di La Bellezza della Cura Film Festival
Quando ho scoperto di essere incinta mi sembrava che tutti avessero un’opinione e una verità sulle cose giuste da fare. Mi sentivo indirizzata su una traiettoria che avevano deciso altri per me: frutto di consuetudini, pratiche standardizzate, scelte già compiute, pensieri e desideri fermi nel tempo. Mi sono chiesta se ci poteva essere un altro modo più personale, per affrontare il totale sconvolgimento che stavo attraversando e soprattutto se potevo condividerlo con chi come me stava vivendo quell’esperienza.
Ho contattato un’ostetrica che mi ha dato un appuntamento in un parco, dove teneva degli incontri preparto tutte le settimane. Ho fatto delle foto: un cerchio di donne incinte sotto una grande magnolia, tra loro Teresa, una donna più anziana, che le ascoltava e raccontava la sua esperienza.
Quel modo di creare comunità era un atto rivoluzionario. Partecipare a quegli incontri mi ha permesso di vivere la gravidanza ed il parto come un’opportunità di crescita e condivisione, in cui la mia paura si è trasformata in una forza mai sentita prima.
Tempo d’attesa vuole essere una riflessione su cosa significhi oggi diventare madri e sulla necessità profonda di ridefinirci come donne nella nostra società.
Claudia Brignone
FilmTv - Quando il cinema sa mettersi in ascolto del mondo, allora acquisisce quella necessità che fin troppo spesso, e un po’ gratuitamente, gli viene attribuita. Ascolto di sé nel caso della regista Claudia Brignone - la quale durante la gravidanza s’imbatté nell’ostetrica Teresa De Pascale e partecipò ai suoi incontri organizzati all’aperto nel Bosco di Capodimonte a Napoli - e ovviamente degli altri (meglio, delle altre), nel corso di sedute di discussione che aiutano future mamme a trovare un proprio percorso mettendolo in dialogo con lo sguardo, la cultura, le aspettative di chi vive la stessa esperienza. Tempo d’attesa è fatto di volti, parole, dettagli; è chiuso come può esserlo un cerchio di persone che si conoscono, si capiscono e creano uno spazio intimo. Il film quello spazio lo rende di dominio pubblico chiedendo allo spettatore di mettersi ugualmente in posizione d’ascolto, senza fretta, senza tempi televisivi, senza che il montaggio forzi le reazioni di chi ascolta le parole di De Pascale. Quando poi alcune pazienti dell’ostetrica si fanno visitare, la macchina da presa da invasiva si fa partecipe, come una presenza ormai accettata. La ricerca di Brignone di un altro modo di considerare la gravidanza, fuori dalla narrazione che ne esalta la sacralità in senso sia conservatore sia progressista (dall’estremo dei pro-vita a quello delle “mamme pancine”), mette dunque al centro la persona e non teme di scrutarne l’anima e il corpo. Sembra semplice, e in effetti lo è, ma solo per chi ha capito che al cinema la vicinanza nasce sempre dalla consapevolezza della distanza da cui filmare.