di Gilad Baram, Germania, Repubblica Ceca, 2015, 71′
con Josef Koudelka
Per cinque anni, nel corso di diverse visite protratte dal 2008 al 2012, il giovane fotografo e regista israeliano Gilad Baram ha accompagnato il celebre fotografo dell’agenzia Magnum Josef Koudelka nel suo lungo viaggio in Terra Santa, fornendo assistenza, supporto logistico e traduzioni, dalle 7 del mattino fino alla scomparsa della luce. L’esperienza sembra avergli segnato la vita in molti modi, non solo professionalmente, fornendogli l’occasione di realizzare il documentario che affianca le fotografie in bianco e nero scattate da Koudelka, ai filmati che riprendono il processo creativo e solitario di uno dei più grandi maestri viventi della fotografia, a Gerusalemme est, Hebron, Ramallah, Betlemme e in vari insediamenti israeliani dislocati lungo il percorso della barriera che separa Israele e Palestina.
NOTE DI REGIA
Capii che dovevo cercare di adottare il suo modo di guardare il mondo. Ho cominciato a rallentare e sviluppare un linguaggio visivo che fosse più connesso alla fotografia e meno all’immagine in movimento, stabilizzando la mia videocamera su un treppiede e lasciando che Koudelka si muovesse nella composizione, il che fu la chiave. Stavo trovando il modo di connettere l’immagine in movimento con quella fissa, fotografica. Una volta presa questa via, è stato un lungo procedere a tentativi ed errori, osservando e imparando. Questo film è un risultato di questo processo. […]
Josef mi ha fatto una sola domanda – cosa avessi imparato durante il nostro tempo insieme e durante il mio lavoro a questo film. La prima cosa a cui ho pensato è stata che avevo imparato a guardare, su più livelli. In senso fotografico, guardare alla composizione, alle luci, alle location, e così via, ma ho anche imparato a osservare alcune cose a cui mi era stato insegnato di non guardare. Questo tempo con Josef ha aperto una finestra per me, mi ha permesso di prendere davvero il tempo necessario per guardare, lasciando a ciò che vedevo il tempo di “risuonare”.
(Link all’intervista completa)
Recensioni.
Internazionale. Il film ci racconta in definitiva, senza prediche e comizi, senza dichiarazioni d’odio per nessuno, una condizione: constata una divisione, un’occupazione. Su Israele e Palestina non mancano certamente i materiali, di entrambe le parti, e di più parti di ognuna, né Baram e Koudelka intendono aderire a nessun sistema di propaganda, vogliono che le immagini parlino di per sé, il compito del fotografo è di mostrare (di aiutarci a vedere) e quello del regista di mostrare come il fotografo lavora, e proporre il confronto tra la fotografia e la realtà.
Le fotografie di Koudelka sono sempre in bianco e nero – un bianco e nero di straordinario nitore e straordinaria raffinatezza – mentre il documentario che mostra Koudelka nel suo lavoro è a colori, e il linguaggio quello abituale al documentario: bianco e nero e colore, una differenza quasi paradossale, se si pensa che nella storia del cinema di ieri il bianco e nero era usato per le storie realistiche e il colore per quelle fantastiche e avventurose mentre oggi accade il contrario, non solo come in questo film, e la realtà è ormai sempre a colori mentre la sua elaborazione artistica più ardita è in bianco e nero.Il formato delle fotografie è, inoltre, da cinemascope: una visione larga, comprensiva, che prima ancora delle figure umane privilegia l’ambiente, il paesaggio, sia esso il muro, orizzontale e chilometrico, sia le città e i villaggi. Koudelka guarda, fotografa, si spiega, ci dice le sue preferenze e anche un po’ della sua storia con grande semplicità e pudore, più attento al proprio lavoro che a quello di chi lo riprende, che non mette mai in discussione.
Mymovies.it. Con una profondità simile a quella adottata da Wim Wenders nel meraviglioso Il sale della Terra su Sebastiao Salgado (2014) Baram si intrufola nella composizione dello scatto, senza temere attese, imprevisti, silenzi, ripensamenti, uscite di campo.
Oltre al parallelismo tra l’esperienza del Muro tra Cecoslovacchia ed ex Germania Est e di quello in Terra Santa (sintetizzata dalla formula «un muro, due prigioni»), e il tema dell'”esilio” (a cui fa riferimento anche uno dei suoi libri, Exiles) il dato più rilevante del documentario è la restituzione di valore al tempo e ai luoghi, a quel paesaggio che «non può difendersi da solo». Le immagini di Koudelka – formato orizzontale, sei centimetri per diciassette, scattate tutte in pellicola con una macchina panoramica – sanno restituire la violenza del muro senza mai riprenderla direttamente, trasmettere la sua folgorazione laica, casuale per l’oggetto, di cui al tempo stesso percepisce la spiritualità. Le inquadrature digitali fisse di Balam incorniciano, anticipano e accompagnano i quadri solenni, iperbilanciati su film in bianco e nero. Tra loro, necessari come una benedizione, stacchi a nero che costringono a riflettere sempre di più sull’origine di ogni immagine. E a mantenere quella “sana rabbia”, lo spirito critico, d’osservazione, in ogni posto del mondo.
Quinlan.it. Se il gigantesco muro annulla tutto, occultando la bellezza di un paesaggio antico, Koudelka, con il suo bianco e nero contrastato, conferisce bellezza e poesia, un senso monumentale, a quel cemento, a quelle crepe, a quei reticoli, a quelle strade vuote. […] Koudelka Shooting Holy Land è un documentario su un artista e il suo processo creativo, e in questo modo un’opera teorica che fa dialogare cinema e fotografia, immagini in movimento e immagini fisse, colore e bianco e nero.
– FilmTv. Il grande merito del doc che Gilad Baram ha dedicato a Josef Koudelka, uno dei più grandi fotografi al mondo […], è di trasmettere quanto sia importante aspettare, tanto nel momento dell’esecuzione quanto in quello della visione, solo così può emergere il senso della composizione […]. Un doc che racconta anche l’importanza dei luoghi: alcuni, come dice Koudelka, esigono di essere fotografati, altri vanno contemplati.
– Sentieri Selvaggi. Il film diviene così un omaggio all’artista e alla sua dedizione ma anche una testimonianza di quei danni collaterali di una condizione di assoggettamento di un popolo nei confronti di un altro.
– Bookciakmagazine. Le sue immagini “distaccate”, precipitano nei nostri animi e si condensano nella nostra testa. Un processo emotivo, evitato da Koudelka, che invece finisce con il contagiare chi guarda le sue foto, con l’idea che il suo sguardo possa benissimo essere proprio anche il nostro.