di Akira Kurosawa, Giappone, 1961, 110′
con Toshiro Mifune (Sanjuro Kuwabatake), Eijiri Tono (il locandiere Gonji), Kamatari Fujiwara (Tazaemon), Seizaburo Kawazu (Seibei), Isuzu Yamada (Orin), Hiroshi Tachikawa (Yoichiro), Takashi Shimura (Tokuemon), Kyu Sazanka (Ushitora), Tatsuya Nakadai (Unosuke), Daisuke Kato (Inokichi), Ikio Sawamura (Hansuke), Akira Nishimura (Kuma), Yoshio Tsuchiya (Kohei), Yoko Tsukasa (Nui, sua moglie), Susumu Fujita (Homma).
Yojimbo (letteralmente “La guardia del corpo”) si svolge nell’era Tokugawa (XVII secolo), nel crepuscolo degli ideali e nel caos dei conflitti fra potentati. Narrato con un impeccabile dosaggio di effetti, colpi di scena, un’ironia acuminata e riusciti momenti grotteschi, riecheggia l’amore di Kurosawa per il cinema di Ford. Ci sono tutti gli ingredienti di un western hollywoodiano: uno straniero, abile guerriero, giunge dal nulla in un villaggio desolato, mette pace sgominando due bande rivali e torna da dove è venuto, scomparendo nel nulla. In più ci sono un insostituibile Mifune (premiato con la Coppa Volpi a Venezia), che giganteggia, e la sua filosofia ronin, resa genialmente in chiave parodistica e ironica. Per un pugno di dollari nasce da qui.
“A me interessava il ritratto di un uomo fuori dall’ordinario che si batte con l’astuzia contro i mascalzoni per un’idea di giustizia. Non avrei mai pensato di contribuire involontariamente alla nascita del western spaghetti!” (Akira Kurosawa).
La sfida del samurai è un film curioso. Sotto il suo aspetto da western, nasconde una versione giapponese della Série noire. Kurosawa infatti ha tratto il suo eroe direttamente da Dashiell Hammett. Profondamente amorale, intelligente e solitario, gran bevitore e attaccabrighe con buoni risultati, Sanjuro
offre i suoi servizi di spadaccino a due bande rivali che terrorizzano un grande villaggio nel secolo scorso. Passa con disinvoltura da una all’altra, poi usa l’una contro l’altra […]. Teste, braccia, tronchi e gambe volano in aria come foglie morte d’inverno. Alla fine, disgustato dall’eccessivo egoismo delle due bande, Sanjuro riscopre la sua anima di samurai […].
L’intento simbolico di Kurosawa mi sembra chiaro. Le due fazioni hanno una curiosa somiglianza con i due blocchi antagonisti del mondo contemporaneo. La minaccia della guerra può essere sconfitta solo abbandonando un atteggiamento egoistico e riscoprendo le grandi tradizioni morali dell’altruismo e del disinteresse.
Jean Douchet, “Cahiers du cinéma”, n. 124, ottobre 1961; ora in L’Art d’aimer, Cahiers du cinéma, Parigi 2003