di Fabrizio Ferraro, Italia, Spagna, 2018, 100′
con Euplemio Macri, Catarina Wallenstein, Pau Riba, Marco Teti, Bruno Duchêne
Catalogna. Pirenei Sud-orientali. Gli elementi naturali di un paesaggio minerale. Lungo la “Route Lister”, nel febbraio del 1939 avanzano lentamente i profughi della Guerra civile spagnola. Tra di loro tre miliziani antifascisti.
L’anno successivo un altro gruppo di “indesiderati” attraversa il medesimo sentiero ma in direzione opposta. È la popolazione degli antifascisti europei, stranieri ed ebrei in fuga dalla Francia occupata e “collaborazionista”.
Walter Benjamin è uno di questi.
La lavorazione del film è raccontata nel libro "Gli indesiderati", di Fabrizio Ferraro e Valerio Carando, edizione Derive e Approdi.
ecodelcinema.it. "Gli Indesiderati d'Europa" vuole porre lo spettatore dalla stessa parte dei fuggiaschi, cercando di coinvolgerlo in un cammino senza fine verso un luogo che possa concedere loro libertà e dignità. Spesso sono gli stessi passi a costituire il suono principale del film, colmi dell'angoscia che ogni personaggio porta dentro di sé.
La vera protagonista del film di Ferraro è la storia e, in particolare, un anno particolarmente critico del XX secolo, alle porte della Seconda Guerra Mondiale, che cambierà per sempre il destino dell'Europa. Da un lato, chi fugge dalla dittatura di Francisco Franco e dall'altro chi fugge dai Nazisti (come Benjamin), ogni uomo si ritrova in disorientamento perenne, spinto però sempre dalla forte volontà di sopravvivere e di vivere in un luogo libero e migliore.
Roberto Silvestri: Il film di Ferraro è un racconto Marvel senza orpelli. Non informa come un telegiornale, lotta come un supereroe. È una centrale di energia.
Arriva sempre il momento in cui si chiede di scrivere qualcosa al presunto autore dell’opera, poi in un film in cui si cammina e cammina sui sentieri oscuri della storia Europea… Ma quando sopraggiunge quel certo silenzio, forse qualcosa, durante la lavorazione del film, è veramente accaduta. Non serve scrivere tante parole, le parole forse non vanno cercate ma bisognerebbe farle. E così quello che riuscirò a vedere sarà sempre un’immagine del passato, miliardi di fotoni luminosi che giungono dal passato. E così arrivò la luce e il sentire divenne vivente. (Fabrizio Ferraro)
CINEUROPA.ORG. Le diaspore, gli esili e la fuga sono, sfortunatamente, temi di scottante attualità, poiché non smettono di riempire i titoli dei giornali. Guerre, dittature e un futuro incerto spingono ogni giorno troppe persone a intraprendere un cammino verso un luogo dove poter vivere con dignità, un paradiso lontano che comporta un lungo percorso di ricerca, segretezza, rischio, paura, pericolo e stanchezza. Questo viaggio altrove è il filo conduttore di Gli indesiderati d'Europa, quinto lungometraggio del cineasta italiano Fabrizio Ferraro che vede il ritorno alla produzione dello spagnolo Lluis Miñarro (leggi la news) e che questo venerdì, 26 gennaio, viene presentato nella sezione Perspectives - A History of Shadows del Festival di Rotterdam.
Proprio le ombre sono un elemento narrativo primordiale in un film girato in un bianco e nero bello ed eloquente che aiuta a comprendere l'oscuro disorientamento dei personaggi che, da entrambi i lati del confine tra Spagna e Francia, anelano alla salvezza oltre l'orizzonte. Sul lato spagnolo ci sono i repubblicani in fuga da Franco; sul lato francese, lo scrittore Walter Benjamin, che fugge dai nazisti e dai loro collaboratori. Uomini e donne, soldati e civili, bambini e un paesaggio che contempla quel pellegrinaggio, in due tempi diversi, separati da un anno (1939-1940), ma impassibile davanti al peregrinare di esseri umani che lasciano dietro di sé vite fatiscenti.
Girato nei Pirenei, parlato in catalano, francese e tedesco, e punteggiato dalla bella musica di John Cale e Pau Riba (che interpreta anche uno dei personaggi), Gli indesiderati d'Europa converte lo spettatore, appoggiando la videocamera sulla schiena dei fuggiaschi, in uno di loro. La clandestinità si plasma anche nelle sequenze in cui i sussurri, l'ansimare e il rumore dei passi diventano il suono preminente. Anche le parole dello scrittore tedesco risuonano in una voce off che denuncia lo smarrimento di un tempo che sembra condannato a ripetersi.