di Andrew Haigh, Gran Bretagna, 2017, 121′
con Charley Plummer, Travis Fimmel, Steve Buscemi, Chloë Sevigny, Steva Zahn, Amy Seimetz, Lewis Pullman, Thomas Mann
Charlie è un adolescente che non ha mai conosciuto sua madre e che vive con il padre. Poco distante dalla loro nuova abitazione scopre la presenza di un maneggio ed entra in contatto con Del Montgomery, un non più giovane proprietario e allenatore di cavalli che fa correre ovunque sia possibile guadagnare qualcosa. Charlie diventa il suo aiutante e si affezione a un cavallo, Lean On Pete, veloce nella corsa ma progressivamente affetto da disturbi che spingono Del a venderlo perché venga soppresso. Charlie non può accettare passivamente questa decisione.
Mymovies.it. Talvolta le sinossi, per evitare di fare troppo spoiler, non possono rendere la complessità di un plot. Perché questa non è l’ennesima ripetizione con varianti dell’amicizia tra un giovane (abbiamo avuto anche numerose ragazze nella filmografia del sottogenere) ed un equino. Non poteva essere altrimenti con un regista sensibile e attento alle storie da cui prende ispirazione. In questo caso si tratta del romanzo omonimo di Willy Vlautin che l’autore ha fatto precedere da questa epigrafe di John Steinbeck: “È vero che siamo deboli e malati e sgradevoli e rissosi ma se a questo si riducesse tutto ciò che siamo sempre stati saremmo già scomparsi da millenni dalla faccia della terra”. Come sappiamo Steinbeck è stato il cantore di coloro che, colpiti da catastrofi economiche e di altra natura, si rivelano capaci di rialzare la testa guardando avanti.
È questo lo spirito che ha guidato Andrew Haigh nel realizzare un film che si rifà al cinema degli anni Settanta (pensiamo ad esempio a Un uomo da marciapiede) ma che si cala nella contemporaneità. Perché il percorso che Charlie compie, con e senza Lean On Pete, è quella di tanti americani dei nostri giorni alla ricerca di un lavoro e bisognosi di un punto di riferimento affettivo.
Filmtv.press. A proposito di registi che non hanno bisogno di esibire il proprio talento. Che amano davvero i loro personaggi e le storie che raccontano, e non danno mai l’impressione di usarli per “fare cinema”. L’inglese Andrew Haigh racconta una storia americanissima, tenendo una pudica distanza da cose, luoghi e persone, come se le incontrasse per la prima volta insieme a noi. Cine-romanzo di formazione, dramma famigliare, avventura esistenziale, road movie. Storia di un ragazzo di 15 anni (Charley Plummer!), di un cavallo che diventa suo amico, di un padre affettuoso e irresponsabile, di una zia da ritrovare nel Wyoming, verso Ovest. La frontiera è quella dei reietti e dei dimenticati, aggrappati a un’America scomparsa (Steve Buscemi!), reduci da una qualche guerra, homeless alcolizzati. Nulla di nuovo, certo, ma che misura e sensibilità, che naturalezza e verità dei sentimenti!
Quinlan.it. Charley Thompson è un film tutto di scrittura, capace anche di affidarsi a bellissime immagini ma che non si abbandona mai ad esse, non vi si immerge totalmente. (...) Haigh ha introiettato perfettamente il mondo del cinema e della cultura americani, li sa dosare e li sa abbracciare – più d’una volta viene in mente ora Giungla d’asfalto, ora proprio Il cavaliere elettrico, presentato in questi giorni in versione restaurata – ma non se ne vuole ‘far abbracciare’. Vale a dire che da europeo – anzi, da inglese – non può abbandonarsi totalmente alla wilderness, gli deve dare una giustificazione narrativa e non solo simbolica.
Così la ‘passione’ del giovane Charley non diventa mai un’epopea malinconica, decadente e debordante. Diventa invece un viaggio nell’ignoto, nell’oscuro della notte, una sfida al termine della quale il ragazzo deve imparare a non appoggiarsi più a nessuno. E in cui Haigh ha fagocitato il mito americano senza farsene fagocitare.