di Tarik Saleh, Svezia, Danimarca, Germania, Francia, 2017, 106′
con Fares Fares, Mari Malek, Yasser Ali Maher, Slimane Dazi, Ahmed Selim, Mohamed Yousry.
Il Cairo, Egitto, gennaio 2011. Nouredin è un ufficiale della polizia corrotto come tutti i suoi colleghi. Chiede denaro per proteggere i commercianti da attacchi delle stesse forze dell'ordine di cui fa parte. Per le strade intanto iniziano ad avvertirsi i primi segnali di quella rivolta che avrà il proprio fulcro in piazza Tahrir. Nouredin si trova però impegnato nel caso dell'omicidio, in un hotel di lusso, di una cantante che gode di una certa notorietà. Una cameriera ha visto tutto e per questo rischia la vita. Il poliziotto si avvicina pericolosamente al possibile colpevole: un deputato del Parlamento.
Cinematografo.it. Il regista di origine svedese e egiziana Tarik Saleh ci svela così un sistema corrotto dove è quasi impossibile scoprire la verità e dove i poliziotti sono dei veri e propri gangster in uniforme. Attraverso le strade affollate del Cairo, il film coraggiosamente ci mostra un paese dove la giustizia non esiste e ci descrive cosa portò i giovani egiziani a sollevarsi contro la polizia e l’élite corrotta preannunciando la Primavera Araba. Purtroppo si è rivelata un’occasione persa e il caso Regeni non può far altro che ricordarcelo.
Cineforum.it. Su un plot piuttosto consueto – che si traveste da mystery solo fino a quando si comprende che lo sguardo scambiato dall'uomo d'affari con il killer nella hall dell'hotel non è casuale ma un voluto gesto d'intesa – Saleh cura i singoli dettagli per fornire l'atmosfera satura che è l'autentico valore aggiunto della storia narrata. Lo squallore degli interni e, di contro, lo sfarzo dei luoghi esclusivi, l'acidità di un'illuminazione notturna sempre claustrofobica, l'insistenza sugli obiettivi di riscatto sociale che solo i proventi della corruzione possono garantire, l'anarchia dei dipartimenti di polizia, lo sguardo del protagonista perennemente piegato dall'umiltà di fronte ai maggiorenti della nazione, pur nel coraggio di affrontarne le reazioni, sono l'emblema di una cura dei particolari che è valsa a Saleh il Gran Premio della Giuria al Sundance dello scorso anno. Ed è su questa densa caratterizzazione che il thriller si trasforma in discorso politico, illustrando criticamente l'Egitto disassato del regime di Mubarak e alludendo a un futuro altrettanto fosco, nonostante l'illusione dei giorni di gennaio. (...) La forza di Omicidio al Cairo, che è un titolo agathachristiano scialbo, perché ignora la natura dell'evento occasionale volto a palesare il verminaio soggiacente evocato invece nell'originale, è in questo gioco di riflessi e rimandi a un insieme più vasto della crime story messa in scena. Un senso che si metaforizza lungo i suoi snodi decisivi, s'intrappola all'interno degli specchi segreti utilizzati per il ricatto, si rivela attraverso la loro distruzione, illude su una possibile soluzione ma si blocca nella frustrazione dell'impari lotta con la protervia di uno Stato disposto a mutare forma per preservare i propri privilegi.
Silenzioinsala.it. Ispirato alla storia realmente accaduta dell’assassinio, nel 2008, della famosa cantante libanese Suzanne Tamim, nel quale furono coinvolti un uomo d’affari egiziano e un membro del Parlamento.
La produzione del film nasce dalla collaborazione fra Danimarca, Svezia, Germania e Francia. Forse sta anche in questo il fascino ambiguo di Omicidio al Cairo che, dalla giusta distanza, racconta il contesto drammatico della rivoluzione egiziana del 2011: un film capace di risultare disturbante e al contempo totalmente seducente. Non per nulla tre giorni prima di iniziare le riprese, la sicurezza di Stato egiziana ha negato al cast ogni tipo di permesso e la produzione è stata costretta a spostarsi a Casablanca. Ma Tarik Saleh è riuscito ugualmente a riprodurre l’anima del Cairo, con le sue strade spoglie, gli edifici corrosi, i volti disillusi, il cinismo di certe consuetudini. (...) Il regista arricchisce la vicenda, già politica, inserendola in un contesto decadente che porta alla rivoluzione; un tentativo di rinnovamento politico e sociale dopo un regime trentennale. La polizia, in quell’occasione, ebbe l’ordine di sparare sulla folla. Omicidio al Cairo risulta un thriller che ha l’eleganza di un noir ma ricorda i film politici e polizieschi degli anni '70, nella scarna crudezza e nel tentativo di raccontare una verità (opere che in Italia portavano le firme di Francesco Rosi ed Elio Petri).