di Andrea Paco Mariani, italia, 2017, 73′
con Hardeep Kaur, Gurvinder Singh, Marco Omizzolo, Simone Andreotti, Gurmuk Singh.
A Bella Farnia, frazione di Sabaudia (Latina), risiede una cospicua comunità di sikh, prevalentemente occupati come braccianti nella filiera agricola locale (nell'Agro Pontino si calcola la loro presenza in circa 30mila unità). Il loro lavoro è sfruttato e sottopagato e la non conoscenza della lingua è uno svantaggio nella consapevolezza dei loro diritti, sistematicamente calpestati, ad opera di caporali locali e con la connivenza dei loro connazionali, in spregio delle tutele sindacali. Nel complesso di case che li accoglie vivono anche Gurwinder, bracciante agricolo e Hardeep, mediatrice culturale, padre punjabi e accento laziale, che lavora ogni giorno per accorciare le distanze tra indiani e italiani. A punteggiare la narrazione, gli interventi di Marco Omizzolo e Simone Andreotti, responsabile scientifico e vice presidente della cooperativa locale InMigrazione, motore del film.
Prodotto da SMK Videofactory ,una casa di produzione indipendente nata nel 2009 a Bologna da un gruppo di mediattivisti. In questi anni ha prodotto principalmente documentari a sfondo sociale e lavori di inchiesta e denuncia.
Crede fermamente nei nuovi modelli di Produzione dal Basso e nel fatto che un modo diverso di fare audiovisivo sia possibile.
Mymovies.it. Ha una vocazione fieramente, fortemente indipendente The Harvest ("raccolto", inteso sia letteralmente come frutto della terra ma anche come esito di politiche inique di lavoro, o meglio, di leggi non rispettate). Una produzione dal basso realizzata da SMK Videofactory, orientata al sociale e fondata dal regista Mariani (classe 1983) a Bologna. La formula è quella del crowdfunding, che ha coinvolto svariate realtà come FLAI (Federazione Lavoratori dell'Agro Industria) e ovviamente la cooperativa InMigrazione. Il risultato è un'opera in cui - come all'interno del "tempio", il luogo in cui i sikh si ritrovano a pregare e a socializzare - tutti, dai realizzatori agli attori, hanno un uguale peso narrativo, in un'orizzontalità che ricalca quella dei campi sterminati e delle serre fruttuose dell'"oro del Pontino" e che porta un punto di vista inusuale e scomodo su un preciso contesto sociopolitico.
Le note di regia lo definiscono un "docu-musical", ma si potrebbe definirlo documentario di fiction, a urgente vocazione di inchiesta, che racchiude al suo interno inserti da musical di Bollywood. Infatti l'idea originale del film è calare, all'interno di un ambito descritto da chi vi opera e vi vive, alcuni numeri musicali coreografati, (protagonisti, i cinque ballerini di Banghra Vibes, residenti tra Cremona e Mantova), efficacemente ripresi e montati, che di cromatico hanno solo i costumi, privi come sono dell'energia gioiosa tipica del genere. Uno stratagemma per non replicare il film di denuncia costruito solo su "teste parlanti" e testimonianze drammatiche.
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Dal sito ufficiale del film: https://www.theharvest.it/:
Il Film:
Gurwinder viene dal Punjab, da anni lavora come bracciante delle serre dell’Agro Pontino. Da quando è arrivato in Italia, vive insieme al resto della comunità sikh in provincia di Latina. Anche Hardeep è indiana, ma parla con accento romano, e si impegna come mediatrice culturale.
Lei, nata e cresciuta in Italia, cerca il riscatto dai ricordi di una famiglia emigrata in un’altra epoca, lui è costretto, contro le norme del suo stesso credo, ad assumere metanfetamine e sostanze dopanti per reggere i pesanti ritmi di lavoro e mandare i soldi in India.
La storia di Gurwinder è rappresentativa di un vasto universo di sfruttamento: un esercito silenzioso di uomini piegati nei campi a lavorare, senza pause, attraversa oggi l’Italia intera. Raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione per 12 ore al giorno filate sotto il sole; chiamano padrone il datore di lavoro, subiscono vessazioni e violenze di ogni tipo. Quattro euro l’ora nel migliore dei casi, con pagamenti che ritardano mesi, e a volte mai erogati, violenze e percosse, incidenti sul lavoro mai denunciati e “allontanamenti” facili per chi tenta di reagire.
The Harvest racconta tutto questo: la vita delle comunità Sikh stanziate stabilmente nella zona dell’Agro Pontino e il loro rapporto con il mondo del lavoro. I membri di queste comunità vengono principalmente impiegati come braccianti nell’agricoltura della zona. Gli episodi di sfruttamento (caporalato, cottimo, basso salario, violenza fisica e verbale) sono stati rilevati in numerosi casi, quasi sempre da associazioni che operano sul territorio locale. A fianco di questi fenomeni è inoltre cresciuto in maniera esponenziale l’uso di sostanze dopanti per sostenere i faticosi ritmi del lavoro nei campi. Sostanze che, nello specifico, si compongono di metanfetamine, oppiacei e antispastici.
La questione dello sfruttamento del lavoro agricolo e in particolare della manodopera migrante diventa centrale ogni qualvolta si avvicina la stagione estiva, ricevendo attenzione dai media e portando alla ribalta questioni cruciali come quella del caporalato. Ciò nonostante questa attenzione è ciclica e il fenomeno passa in secondo piano con l’arrivo dell’autunno.
The Harvest affronta la questione attraverso una lente innovativa che coniuga lo stile del documentario con quello del musical, utilizzato come espediente narrativo per raccontare la fatica del lavoro nei campi e l’utilizzo di sostanze. Attraverso una ricerca musicale e cinematografica il film vuole far emergere una determinata condizione che sarebbe altrimenti difficile da portare all’attenzione del pubblico senza toni retorici o didascalici. Trovare una forma artistica innovativa per narrare una realtà brutale, ma che tende a nascondersi nelle pieghe della quotidianità, è il nodo stilistico che il film affronta.
Un docu-musical che, per la prima volta, unisce il linguaggio del documentario alle coreografie delle danze punjabi, raccontando l’umiliazione dei lavoratori sfruttati dai datori di lavoro e dai caporali. Due storie che si intrecciano nel corso di una giornata, dalle prime ore di luce in cui inizia il lavoro in campagna alla preghiera serale presso il tempio della comunità.
Un duro lavoro di semina, fatto giorno dopo giorno, il cui meritato raccolto, tra permessi di soggiorno da rinnovare e buste paga fasulle, sembra essere ancora lontano.
Personaggi:
The Harvest è un esperimento narrativo che ha messo in gioco le vite di persone reali, chiamate in alcuni casi a interpretare se stesse, in altri casi personaggi di finzione ispirati alla dura realtà che abbiamo inteso indagare.
Il bracciante
Gurwinder ha 34 anni. È nato in India, nella regione del Punjab, in una famiglia della classe media.
Dopo gli studi decide di seguire il fratello già emigrato in Italia in cerca di un futuro migliore. Grazie alle informazioni ricevute dai suoi connazionali, si trasferisce in provincia di Latina, dove però l’unica occupazione che trova è quella di bracciante per alcune aziende agricole. Le sue giornate nei campi possono durare fino a 14 ore, in cambio di pochi euro.
Nel film interpreta se stesso, mettendo in scena la propria storia di riscatto dalla violenza dello sfruttamento lavorativo e delle ritorsioni che colpiscono chi decide di non abbassare più la testa al padrone e comincia a rivendicare i suoi diritti.
Il ricercatore e attivista
Marco Omizzolo è un sociologo, responsabile scientifico della coop. In Migrazione e presidente del centro studi “Tempi Moderni”, si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata. In The Harvest interpreta sè stesso, raccontando i risultati delle proprie ricerche e portando alla conoscenza pubblica le testimonianze dei molti braccianti indiani che si rivolgono a In Migrazione nel tentativo di opporsi alle condizioni lavorative imposte loro dalle aziende agricole dell’Agro Pontino. Queste denunce, che permettono allo spettatore di capire la gravità della situazione di violazione dei diritti che si verifica nei campi di quest’area agricola italiana, sono il quotidiano strumento di lavoro di Marco da quasi dieci anni.
La mediatrice culturale
Hardeep è nata in provincia di Latina 30 anni fa. Figlia di un uomo punjabi arrivato a Roma nel 1979, parla con accento romano e qualche anno fa si è sposata con rito indiano con un ragazzo italiano. Oggi lavora come mediatrice culturale per la comunità indiana dell’Agro Pontino e insegna la lingua italiana ai migranti. Il suo ruolo in The Harvest è la fedele riproduzione della sua giornata quotidiana, che deriva da un’attitudine ormai ben consolidata: “Occuparmi di mediazione è la cosa per me più naturale, da piccola le maestre mi chiamavano a tradurre per gli altri bambini in classe appena arrivati a scuola”.
Il padrone e i suoi aiutanti
Steven Hogan è un cantante italo-britannico, leader della band Slick Steve and the Gangster. Nel film interpreta il datore di lavoro di Gurwinder, proprietario di una piccola azienda agricola che utilizza manodopera sottopagata, riproducendo le dinamiche di ricatto nei confronti dei lavoratori di cui tanti braccianti di origine indiana hanno fornito testimonianza.
The Gangster: Alle B. Goode (chitarra), Pietro Gozzini (contrabbasso) e Beppe Facchetti (batteria) sono i musicisti della band Slick Steve and the Gangster. Interpretano gli aiutanti del datore di lavoro, sorvegliando il lavoro dei braccianti durante la lunga giornata lavorativa.
I danzatori
I Bhangra Vibes sono un gruppo di giovani danzatori nato fra la provincia di Cremona e quella di Mantova. La loro storia personale e familiare tuttavia viene da molto più lontano, proprio da quel Punjab da cui proviene la maggior parte dei braccianti dell’Agro Pontino. Benché molti di loro siano nati in Italia, hanno deciso di riscoprire una delle danze tradizionali punjabi, il bhangra. Si tratta di movimenti che nascono dal lavoro dei campi e che nel film vi ritornano, per raccontare però uno scenario del tutto attuale e ricco di contraddizioni, quello dell’Agro Pontino nel 2017.
“Partecipare a questo progetto ci ha permesso di ricordare le storie di sfruttamento che ci hanno raccontato i nostri genitori, quando anni fa sono arrivati in Italia. È importante non dimenticare quanto hanno subito per noi”.