di Lukas Dhont, Belgio, Paesi Bassi, Francia, 2022, 105′
con Eden Dambrine, Gustav De Waele, Émilie Dequenne, Léa Drucker, Kevin Janssens
Due tredicenni, Leo e Rèmi, vivono la loro preadolescenza condividendo momenti di gioco e momenti di riflessione. Il loro ingresso nella scuola superiore fa sì che i nuovi compagni inizino a manifestare il sospetto che la loro sia non solo un'amicizia ma una relazione sentimentale. Questo finirà per creare una certa distanza che si risolverà in una situazione destinata a lasciare una traccia profonda
Quinlan.it - Dhont conferma di saper scegliere e dirigere egregiamente i suoi attori, di prediligere i gesti alle parole, di saper ricorrere alle ellissi, di saper staccare al momento giusto un primo piano, ma anche si sapersi soffermare su un dettaglio, un riflesso, uno momento che sembra interminabile – come nella lancinante sequenza sull’autobus, con Léo che non vuole scendere, che vuole restare avvinghiato ai suoi dodici anni.
Cineuropa - Girato in modo molto organico in uno stile che esplora meravigliosamente ogno minima flessione dei tratti sottilmente espressivi di Eden Dambrine, Close è il racconto toccante di un'interiorità lacerata nel tumulto della ricerca della propria identità, in un'età in cui il desiderio di somigliare a gli altri si rivela molto potente, al punto da sopprimere la propria intima personalità e chiudersi volontariamente in un circolo di va e vieni così dolorosi per chi si ama e per sé. Tutto questo, ovviamente, fino alla frattura, perché non si possono girare le spalle impunemente a ciò che ci fa stare bene.
LA PAROLA AL REGISTA
In primo luogo, volevo creare immagini che mostrassero una vera intimità e una vera tenerezza tra due giovani ragazzi. Viviamo in un mondo in cui ci sono molte immagini di uomini che hanno rapporti brutali con gli altri, che sembrano scollegati dalla loro fragilità. Volevo creare momenti di tenerezza in un universo maschile. Avere due ragazzi in un letto, vicini, complici, vederli correre in un campo di fiori. E poi volevo davvero fare un film sull'amicizia. Sulla bellezza ma anche sulla fragilità dell'amicizia. Scegliendo due ragazzi giovani, volevo anche parlare di una società in cui la tenerezza tra adolescenti o tra uomini viene vista subito attraverso il prisma della sessualità. Cerchiamo di incasellare tutto. E questo limita alcuni impulsi e amicizie.
Volevo anche parlare di brutalità, come può far sparire quelle cose così fragili, così tenere. Nel mondo, ma anche dentro di noi. Come se si tagliassero dei fiori, o facessero scomparire i colori, dentro.
Trovo che scrivere un dialogo sia un esercizio molto complicato. Si cerca di trasmettere ciò che il personaggio vuole dire, ma anche ciò che il pubblico deve capire. Da adolescente ero abbastanza bravo a fare il mimo. Ho copiato i movimenti e il comportamento degli altri. Mi ha ispirato molto la danza, il lavoro dei coreografi e dei ballerini, che riescono a esprimere i sentimenti con i loro corpi e i loro movimenti. Molto presto mi sono detto che questo era il linguaggio con cui volevo entrare nel cinema, il linguaggio del corpo. Prima di diventare regista, volevo essere un ballerino. Sento che sto cercando di realizzare parte di quel sogno di danza attraverso il mio linguaggio cinematografico. Per esprimere ciò che voglio senza parole. (dall'intervista a Lukas Dhont su Cineuropa)