di Jan Hřebejk, Slovacchia/Repubblica Ceca, 2016, 102′
con Zuzana Mauréry, Csongor Kassai, Peter Bebjak, Martin Havelka, Ondrej Malý
Cineforum.it Bratislava 1983. In una classe di liceo arriva una nuova insegnante, Maria Drazdĕchová, la quale, dopo essersi presentata, fa una particolare richiesta agli allievi. Ognuno di loro dovrà alzarsi e dire quale lavoro fanno i genitori. Mesi dopo viene convocata proprio una riunione dei genitori perché qualcuno ha denunciato un fatto grave: l'insegnante, appellandosi al suo stato di vedova, si fa fare lavori gratis da genitori e studenti. In cambio arrivano suggerimenti per l'interrogazione o buoni voti. La preside chiede ai genitori di assumere una posizione chiara in materia.
Anche se potrebbe sembrare impossibile, la storia di questo film si ispira fatti realmente accaduti allo sceneggiatore Petr Jarchovský quando era studente a Praga sul finire degli anni Settanta. Anzi, come si è premurato di specificare, le richieste era molto più dirette di quelle ammantate di gentilezza e falsa ritrosia affidate all'interpretazione di Zuzana Maurery, che ha conquistato il premio per la migliore attrice al festival di Karlovy Vary.
(...) È una commedia, The Teacher, in apparenza. Sorride, ammicca, irradia colore. Eppure, al tempo stesso, è un film che contiene in sé, sotto la superficie, una denuncia. Ai soprusi, propri delle società del blocco sovietico d'inizio anni '80 e, contemporaneamente, di ogni società di ogni momento storico: è il 1992, quando si chiude la storia, la Cecoslovacchia è libera, da lì a poco Bratislava tornerà a essere la capitale della Slovacchia, eppure niente è cambiato. C'è ancora chi, dietro un atteggiamento lezioso, nasconde prevaricazioni e pretese. C'è ancora chi, messo di fronte all'evidenza dei fatti, preferisce restare dalla parte del torto, per convenienza.
È una commedia, The Teacher; un film in cui il regista Jan Hrebejk utilizza un linguaggio espressivo elegante, raffinato, e pure un po' confettato. Tutto è luminoso, in tonalità pastello. Gli abiti sono a fiori, la carta da parati nelle case – seguendo un design tra gli anni '70 e gli anni '80 – è geometrica e ipercolorata, il trucco e le unghie delle signore sempre perfetti e sgargianti. Lo sguardo della macchina da presa è discreto, leggiadro, forse pure distaccato, nei momenti in cui i nodi della trama si fanno più complessi e dolorosi, come se volesse restare sempre un passo indietro, con un atteggiamento tra il reverenziale e il superficiale.
Visivamente, sembra che Hrebejk stia raccontando una storia di capricciose regine, magari un pettegolezzo, un fatto di poco conto, o almeno qualccosa con un lieto fine da vecchio film per famiglie. Quel che viene messo in scena è, invece, l'esatto opposto: in un mondo che sembra distante anni luce dall'epoca della cortina di ferro e dal grigiore che, un po' per automatismo, scatena nella mente di ogni spettatore, il regista ceco dà vita, ispirandosi a una storia realmente accaduta e con un incastro di trama ricco di suspense, a un vero e proprio dramma.