di Andrea Segre, Italia, Francia, Tunisia, 2015, 112′
con Paolo Pierobon, Giuseppe Battiston, Valentina Carnelutti, Olivier Rabourdin, Fabrizio Ferracane
Presentazione e commento con Daniele Biella, giornalista, scrittore, educatore; Riccardo Canitano, Azienda Consortile Offertasociale; Cristina Romanelli, referente progetti accoglienza Coop, Aeris.
Corrado è un alto funzionario del Ministero degli Interni italiano specializzato in missioni internazionali contro l’immigrazione irregolare. Il Governo italiano lo sceglie per affrontare una delle spine nel fianco delle frontiere europee: i viaggi illegali dalla Libia verso l’Italia. La missione di Corrado è molto complessa, la Libia post-Gheddafi è attraversata da profonde tensioni interne e mettere insieme la realtà libica con gli interessi italiani ed europei sembra impossibile. Corrado, insieme a colleghi italiani e francesi, si muove tra stanze del potere, porti e centri di detenzione per migranti. La sua tensione è alta, ma lo diventa ancor di più quando infrange una delle principali regole di autodifesa di chi lavora al contrasto dell’immigrazione, mai conoscere nessun migrante, considerarli solo numeri. Corrado, invece, incontra Swada, una donna somala che sta cercando di scappare dalla detenzione libica e di attraversare il mare per raggiungere il marito in Europa. Come tenere insieme la legge di Stato e l’istinto umano di aiutare qualcuno in difficoltà? Corrado prova a cercare una risposta nella sua vita privata, ma la sua crisi diventa sempre più intensa e si insinua pericolosa nell’ordine delle cose.
Note di regia
Quando tre anni fa ho iniziato a lavorare a questo film non sapevo che le vicende tra Italia e Libia sarebbero andate proprio come le abbiamo raccontate, ma purtroppo lo immaginavo. Per molti mesi ho incontrato insieme a Marco Pettenello alcuni “veri Corrado” e parlando con loro ho intuito che l’Italia si apprestava ad avviare respingimenti di migranti nei centri di detenzione libica. Nessuno lo diceva pubblicamente, ma ora che il film esce è tutto alla luce del sole. Mi auguro che il film aiuti a riflettere su cosa stiamo vivendo in questi giorni e sulle lunghe conseguenze che vivremo ancora per anni.
Infatti credo che quella di Corrado sia la condizione di molti di noi in quest’epoca che sembra aver metabolizzato l’ingiustizia. La tensione tra Europa e immigrazione sta mettendo in discussione l’identità stessa dell’Europa. Corrado e la sua storia raccontano questa crisi di identità. Ho cercato in lui, nel suo ordine e nella sua tensione emotiva, quelle della nostra civiltà e del nostro tempo. Sappiamo bene quanto stiamo abdicando ai nostri principi negando diritti e libertà a essere umani fuori dal nostro spazio, ma proviamo a non dircelo o addirittura a esserne fieri. È questa crisi che mi ha guidato eticamente ed esteticamente nel raccontare il mondo di Corrado, un mondo tanto rassicurante quanto inquietante.
Il sito ufficiale del film: https://lordinedellecose.it/
Mymovies.it. Per una di quelle coincidenze che accadono solo quando entra in gioco un elemento di ponderata preveggenza, lo stesso giorno in cui il film è stato presentato alla 74. Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, l'Ansa riportava una dichiarazione del Ministro della Difesa Pinotti soddisfatta dei "dati molto confortanti per quanto riguarda gli afflussi sia di luglio sia di agosto". Dati, ovviamente, che davano gli sbarchi in consistente diminuzione. Questo significava forse che il numero dei migranti fosse 'miracolosamente' mutato in consistenza? Assolutamente no. Significava solo che gli stessi avevano iniziato ad essere bloccati dalle forze libiche in cambio di consistenti esborsi di denaro. Il rispetto dei diritti umani faceva parte del prezzo pagato? Con un'alta dose di probabilità no.
Il sole 24 ore. Anche con «L'ordine delle cose» dimostra grande sensibilità nel trattare un soggetto tanto delicato e costruisce una sorta di thriller impegnato, capace di tenere alta la tensione dal primo all'ultimo minuto e di far riflettere su un argomento di strettissima attualità.
L'idea alla base non è quella di realizzare una pellicola militante e arrabbiata, ma di far ragionare sulla migrazione seguendo traiettorie narrative molto differenti: basti pensare al personaggio principale, un funzionario del Ministero che è una figura molto diversa dalla maggior parte di quelle presenti nei titoli che parlano di questa tematica. Un uomo, Corrado, che entra in crisi quando incontra una donna che sta cercando di scappare dalla detenzione libica per raggiungere il marito in Europa: ed è proprio il contrasto tra la legge dello Stato e l'istinto umano il fulcro di questo lungometraggio che si pone domande importanti, senza mai utilizzare la retorica per portare avanti i propri ragionamenti.
cinematografo.it. Quello di Segre è cinema robusto, inciso a fuoco in una realtà storica ben precisa ma che pur tuttavia asserisce con piglio energico la propria universalità nell’esplorare i temi della sofferenza e dell’empatia; è un cinema, infine, pienamente italiano ma nel senso migliore e più fiero del termine, è cinema del reale pur essendo fiction, ma è fiction girata con l’immediatezza del documentario, secondo la lezione di Werner Herzog. L’ordine delle cose sconta forse una mancanza di spettacolarità (o la scottante attualità?) che lo rendeva poco appetibile per il Concorso Ufficiale, ma a voler cercare ad ogni costo il pelo nell’uovo si finisce per rimanere soffocati. Va bene così, dunque, il cinema è anche questo.
"Segre sceglie (...) un (...) registro, più in sintonia con le sue origini da documentarista: uno stile lineare, quasi scabro nella sua essenzialità, ma efficacissimo per spiegare i fatti. (...) Un caso come ce ne sono tanti, che costringe il funzionario italiano a fare i conti con la disumanità delle regole e l'impotenza dei singoli e che il film racconta con una lucidità cartesiana, quella di un regista che cerca con coraggio e onestà di non confondere mai i due piani, quello della politica e quello dell'accoglienza, ma che non vuole neppure privilegiarne uno a scapito dell'altro." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 1 settembre 2017)
"Gli avvenimenti delle ultime settimane hanno reso ancor più attuale il film di Andrea Segre, 'recuperato' come evento speciale dalla selezione veneziana. Per fortuna: perché si tratta di un film bello e importante, che parla di migranti, profughi e hotspot in maniera precisa, emozionante, senza retorica e senza colpi bassi, costruendo sapientemente una vicenda ma dimostrando soprattutto che, al di là della cronaca, il cinema di finzione può avere i mezzi per andare in profondità, per cercare il filo di un discorso intrecciando vicende individuali e collettive. (...) Segre aveva già raccontato personaggi di immigrati in due lungometraggi di finzione, 'lo sono Li' e 'La prima neve', ma questo è il suo film migliore. La morale non è consolatoria, i dilemmi e il contesto vengono spiegati in maniera non semplicistica. Il protagonista, ben interpretato da Paolo Pierobon, i suoi andirivieni con la Libia (ricostruita per lo più in Sicilia e in parte in Tunisia ), sono raccontati con credibilità, e la regia rende visibile la sua crisi personale inserendolo in inquadrature eleganti, composte, che vengono poi incrinate leggermente con l'uso della macchina a mano. Come accompagnando il vacillare del protagonista e delle sue certezze." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica' , 1 settembre 2017)