di Eliza Kubarska, Polonia, Regno Unito, Germania, Svizzera, 2020, 94′
con Marcin Tomaszewski, Dmitry Golovchenko, Sergey Nilov, Nada Sherpa, Jomde Sherpa, Dawa Sherpa
Al termine proiettiamo l'intervista con la regista Eliza Kubarska.
Quando una famiglia di Sherpa viene avvicinata da un gruppo di scalatori, per accompagnarli in un trekking fino alla parete est del Kumbhakarna in Nepal, mai conquistata, si trova di fronte a un dilemma. La vetta, considerata più impegnativa del Monte Everest, nella religione locale del Kirant è considerata una montagna sacra che non deve essere scalata. Il padre vuole guadagnare con la spedizione il denaro necessario all’educazione del figlio. La madre, invece, è contraria alla scalata ma, per rendere possibile il sogno del figlio di diventare medico, alla fine accetta di guidare i tre stranieri sulla montagna.
La regista Eliza Kubarska segue la spedizione e mostra come la famiglia faccia fronte alle condizioni estreme e al proprio credo religioso per rendere possibile la salita. Gli dei del Kumbhakarna perdoneranno gli Sherpa per la loro insolenza?
Eliza Kubarska, alpinista esperta, cattura immagini mozzafiato del maestoso mondo alpino, richiamando l’attenzione sulla dimensione spirituale della natura e dell’ambiente.
LA PAROLA ALLA REGISTA
« Come alpinista, vedo cosa è successo sull'Everest. Le regole sono state infrante - la montagna più alta del mondo si è trasformata in Disneyland. E l'Everest era la più sacra delle montagne, la Madre Terra! Ha perso la sua santità, e gli sherpa lo hanno accettato perché non hanno scelta. Questo è spesso il loro unico introito. Volevo filmare il processo attraverso il quale una montagna perde il suo "status". Ho dato per scontato che il Kangchenjunga fosse sacro - la terza montagna più alta del mondo. Quando sono arrivata lì, mi hanno detto: "No, Eliza, non è più sacra. Solo dalla parte dell'India". Ma il Kumbhakarna lo è ancora, e quando ho visto la sua parete nord, 3.000 metri di roccia quasi verticale, mi sono detta: "Non c'è da meravigliarsi". È praticamente impossibile da scalare, eppure c'era una spedizione diretta lì. Come dice la moglie dello sherpa: "Ascolta, Dio capirà. Sa che non hai scelta, che vuoi educare tuo figlio". La loro religione è molto vicina a me; il loro Dio capisce le persone. Questo è il punto - poi noi guardiamo questo mondo, e vediamo le vette più alte. Ma è il regno degli dei. »
Eliza Kubarska
(Leggi tutta l'intervista su Cineuropa.org)
Sentieri Selvaggi - Stavolta la regia si mescola felicemente e si muove con il ritmo del popolo Sherpa, che da secoli abita queste montagne ed è stato il primo a raggiungere la cima dell’ Everest, il tetto del mondo. Adesso il suo lavoro consiste nell’attrezzare i pendii della montagna per facilitare la scalata agli intrepidi escursionisti occidentali. Camminare, da quando sono scesi dagli alberi, per gli Sherpa, resta una delle loro attività principali. È un gesto ancestrale, si impara d’istinto, spesso prima di parlare. Il passo è un’impronta digitale in movimento, ognuno ha la sua. Se li guardi camminare sui loro sentieri vedi l’armonia del loro movimento che segue il terreno senza sprecare una stilla di energia. Sassi, legni, radici, ciò che per noi è un ostacolo, per loro diventa un appoggio.
Passi corti, cadenzati, con una respirazione perfetta che non va mai in ipossia. Gli sherpa, a vederli nelle strade trafficate di Kathmandu, sembrano esili, magri, di solito piccoli. Sui sentieri di montagna, dove impiegano meno di una giornata per fare un tragitto che a un umano, per quanto sano e robusto, ne costa tre, diventano una razza superiore, anche se frequentemente sottomessa.
MyMovies - Non manca poi, ed è forse l'elemento più interessante, l'osservazione del rapporto che si instaura tra gli scalatori e gli sherpa. Gli europei guardano con ironico distacco ai riti propiziatori che vengono celebrati per far sì che la divinità comprenda le ragioni della violazione del tabù. In quel momento si ha la sensazione che sia necessario qualcosa di più della passione per la montagna per chi decide di affrontare certe imprese. Ci vorrebbe anche la comprensione delle culture locali che, in questo caso, manca o è troppo superficiale.