di Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis, Italia, Francia, Argentina, 2021, 90′
con Gabriele Silli, Maria Alexandra Lungu, Jorge Prado, Dario Levy, Mariano Arce.
Italia, giorni nostri. Alcuni vecchi cacciatori ricordano insieme la storia di Luciano.
Tardo Ottocento, Luciano è un ubriacone che vive in un borgo della Tuscia, Vejano. Il suo stile di vita e la sua ribellione al dispotico principe locale lo hanno reso un reietto per il resto della comunità. In un estremo tentativo per proteggere dal principe la donna che ama, Luciano commette un atto scellerato che lo costringe a fuggire in esilio nella Terra del Fuoco. Qui la ricerca di un mitico tesoro, al fianco di marinai senza scrupoli, si trasforma per lui in un’occasione di redenzione. Ma la febbre dell’oro non può seminare che tradimento, avidità e follia in quelle terre desolate.
LA PAROLA AI REGISTI
Re Granchio nasce da un racconto che abbiamo sentito in una casina di caccia di un piccolo paese della Tuscia. Conoscevamo Ercolino, il proprietario della casina, ritrovo abituale dei cacciatori della zona, dove si mangia, si beve ci si racconta storie. (...) Ancora una volta, abbiamo ascoltato una leggenda: quella di Luciano, l'eroe di Re Granchio. Ogni nuova storia raccontataci dai cacciatori aveva un respiro più ampio della precedente, ma allo stesso tempo molti meno dettagli. Quella di Luciano cominciava a Vejano e finiva in Sudamerica, nella Terra del Fuoco. Tuttavia avevamo poche informazioni sul personaggio e sull'epoca a cui risalivano i fatti. Ancora meno erano le notizie sul suo arrivo in America. Abbiamo dovuto immaginare quasi tutto. Forse è per questo che abbiamo progressivamente abbandonato il documentario per la finzione. Abbiamo consultato degli archivi per trovare le tracce del viaggio che, secondo i nostri amici cacciatori, Luciano avrebbe compiuto tra la fine del Diciannovesimo e l'inizio del Ventesimo secolo. Ricercando tra i passeggeri delle navi dirette in Argentina c'era un omonimo: avrebbe potuto essere il nostro Luciano. Siamo andati a nostra volta nella Terra del Fuoco per ricerche e sopralluoghi e lì abbiamo trovato un mondo ricchissimo di storie e fantasiose avventure di emigrati italiani. Il nostro obiettivo era far sì che, nella parte argentina del film, la storia di Luciano portasse in sé qualcosa di quelle storie di migrazione.
Film Tv - Ambientando una storia a cavallo fra un sud italiano di sapore etrusco e il richiamo di nuovo mondo salgariano e prattiano, Re Granchio sorprende con la sua generosità assoluta e la precisione libera del gesto. In fuga dal paese natale per un delitto commesso per amore, un uomo si ritrova dall’altra parte del mondo impegnato in una caccia al tesoro senza fine, guidato da un misterioso granchio. Rigo de Righi e Zoppis, alfieri di un cinema carnale e astratto, con Re Granchio spingono la loro visione a un punto di straordinaria incandescenza formale. Il sud sognato dai due registi è una concrezione pagana e sacrale, autoritaria e magica.
il manifesto - Quella di Re Granchio è senza dubbio una delle più belle proiezioni di Cannes finora. Il lavoro di Rigo de Righi e Zoppis fa pensare a quello di altri cantastorie che la Quinzaine ha accolto in passato, uno fra tutti Albert Serra. Ma già da questo primo film di finzione, i due cineasti fanno apparire una voce unica e personale.
Quello che si vede sullo schermo è solo una parte della sorpresa. La musica ne è un’altra, altrettanto impressionante. In Re Granchio c’è da un lato una partizione musicale, firmata da Vittorio Giampietro, il cui lavoro è un contrappunto costante a quello della fotografia. Accanto a questa partizione strumentale appaiono delle canzoni popolari che completano il dialogo che il film intrattiene con la cultura orale. Gli autori non si sono limitati a registrare l’esistente, ma hanno messo il loro cinema in gioco, facendo del film una tappa del lavoro infinito della creazione della cultura popolare.
Quinlan.it - Due mondi inospitali, il primo a causa dell’umanità che lo abita, e il secondo perché brullo, privo di vita, e desiderato ed esplorato solo per ricercarvi l’oro, il paese di Bengodi della seconda metà del Diciannovesimo Secolo. Rigo de Righi e Zoppis edificano con intelligenza un percorso unico e duplice al medesimo istante. L’Ottocento già (in)civile italiano si articola in inquadrature d’alto rimando pittorico, dove l’ombra è il primo e principale elemento di luce e il quadro cinematografico sembra tornare alle origini, agli albori della Settima Arte. L’Ottocento ancora non civilizzato argentino è invece un fiammeggiante western, che fa dello sconfinato spazio a perdita d’occhio l’elemento centrale dello sguardo. Se l’umano nella sua corporeità era il punto nevralgico della prima metà del film – il corpo sfatto nella dipendenza dell’alcol di Luciano, l’unione fisica tra lui e la bella e sfortunata ragazza che ama – nella seconda parte ci si muove in un orrido sconosciuto, misterico, quasi soprannaturale.