di Aurelio Grimaldi, italia, 2020, 97′
con Antonio Alveario, Claudio Castrogiovanni, Nicasio Catanese, David Coco, Vincenzo Crivello.
Il giorno dell'Epifania del 1980 il Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella viene ucciso da un killer. Ad occuparsi delle prime indagini sarà il sostituto procuratore Pietro Grasso a cui farà seguito il giudice Giovanni Falcone. Le complicità saranno molteplici e gli esecutori materiali non saranno mai arrestati.
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Quinlan.it. Quarant’anni sono sufficienti a creare una zona di conforto, una patina di polvere di tempo che consente di sentirsi al sicuro dalle increspature della Storia, dal dibattito acceso e ovviamente dalle ritorsioni di ogni sorta. Così è anche possibile che si decida di mostrare Giulio Andreotti come apertamente mafioso: a sette anni dalla sua dipartita è difficile che qualcuno abbia da ridire, a eccezione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che ha bocciato senza appello Il delitto Mattarella, negandogli in questo modo il contributo economico dello Stato. Al di là di questo dettaglio è interessante notare come Aurelio Grimaldi prosegua da un trentennio seguendo imperterrito la propria strada, superando anche l’ostacolo del mancato finanziamento. [...] Il delitto Mattarella nasce da un’esigenza evidente, quella di raccontare e ricordare la figura politica di Piersanti Mattarella nel quarantesimo anniversario dell’omicidio. Una posizione morale dunque, quella di Grimaldi, prima ancora che politica e cinematografica: l’obiettivo, quello di descrivere il fratello dell’attuale Presidente della Repubblica come un agnello capitato in mezzo ai lupi, viene raggiunto senza eccessivo sforzo.
Filmtv.press. Grimaldi rimane autore difficile da maneggiare, incline com’è a quel registro ibrido che, forzando i toni, non tira a lucido la materia, ma la volgarizza, arrivando a imbarbarirla quasi. Se la voce fuori campo riporta la cronaca puntuale e i retroscena dell’omicidio di Piersanti Mattarella, interpretazioni aderenti si mescolano ad altre di teatralità straniata o gigionesca, a celebrare un bizzarro incrocio tra Mixer e l’opera dei pupi. In cui Andreotti e Ciancimino diventano maschere innaturali, ritagliate da un contesto altro e innestate nella rappresentazione come a scartare la possibile pedanteria realista del racconto, suggerendone l’implicita inquietudine grottesca. Una prospettiva sghemba attraverso la quale si vuol sottrarre la figura integerrima del politico ucciso all’inspiegabile oblio.