di Elia Suleiman, Canada, Francia, Germania, Turchia, 2019, 97′
con Alain Dahan, Aldo Lopez, Ali Suliman, Basil McKenna, Elia Suleiman, François Girard, Gael Garcia Bernal, Grégoire Colin, Holden Wong, Kamil Silbak, Mathieu Samaille, Natascha Wiese, Raia Haidar , Robert Higden, Sebastien Beaulac, Stephen Mwinga
Elia Suleiman fugge dalla Palestina in cerca di una patria alternativa, solo per scoprire che la Palestina lo insegue ovunque. La promessa di una nuova vita si trasforma dunque in una commedia degli equivoci: per quanto lontano viaggi, da Parigi a New York, qualcosa gli ricorda sempre di casa. Inizia così a esplorare il significato di concetti come identità, nazionalità e appartenenza, e a porsi la fondamentale domanda: dove è il posto che possiamo veramente chiamare casa?
Quinlan.it - In questo peregrinare in giro per il mondo, dal terzo al primo, Suleiman coglie l’essenza tragica e ridicola di ogni cosa, mettendo in scena comportamenti automatici, privi di reale controllo ma puramente condizionati dall’abitudine, dalla prassi, dalla logica imperante. Il suo film, che eccelle in punte comiche difficili da eguagliare, diventa dunque lo scandaglio di un’umanità già perduta, priva di memoria. “Voi palestinesi siete i soli che non bevono per dimenticare, ma per ricordare”, dice un compagno di bevute in un locale nella Grande Mela, prima di lasciarsi andare a un ballo solitario.
Cineforum.it - il film mostra Elia Suleiman stesso (come spesso accade nei suoi film) andare in giro per il mondo e osservare alcuni episodi di assurdità quotidiana, con spesso (anche se non sempre) a tema la guerra, il controllo della polizia, e in generale l’atmosfera securitaria degli ultimi anni. Quella sorta di atmosfera grottesca e senza senso che caratterizza la vita quotidiana di un palestinese durante l’occupazione, si generalizza per diventare qualcosa che riguarda il mondo intero. Come ha dichiarato il regista stesso, se nei film precedenti la Palestina poteva assomigliare a un mondo in piccolo, questa volta è il mondo stesso ad assomigliare sempre più (e sempre più inquietantemente) alla Palestina.
Mymovies.it - "Come nei miei precedenti film ci sono pochi dialoghi; quello che viene detto assomiglia a monologhi per infondere ritmo e musicalità.". Purtroppo nel momento in cui, in un lungometraggio, il regista di Nazareth esce dalla sua terra il pregio dell'astrazione che contraddistingueva un film come Il tempo che ci rimane si trasforma in un boomerang. Perché il modello per eccellenza di Suleyman, il grande Buster Keaton, finisce con l'ibridarsi con un Jacques Tati immobile e del tutto straniato in un improbabile Play Time del nuovo millennio.