di Roman Polanski, Francia, Italia, 2019, 126′
con Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois, Hervé Pierre.
Gennaio del 1895, pochi mesi prima che i fratelli Lumière diano vita a quello che convenzionalmente chiamiamo Cinema, nel cortile dell'École Militaire di Parigi, Georges Picquart, un ufficiale dell'esercito francese, presenzia alla pubblica condanna e all'umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus, un capitano ebreo, accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi. Al disonore segue l'esilio e la sentenza condanna il traditore ad essere confinato sull'isola del Diavolo, nella Guyana francese. Il caso sembra archiviato. Picquart guadagna la promozione a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus. Ed è allora che si accorge che il passaggio di informazioni al nemico non si è ancora arrestato. Da uomo d'onore quale è si pone la giusta domanda: Dreyfus è davvero colpevole?
Tratto dal romanzo "L' ufficiale e la spia" di Robert Harris.
Roman Polanski mette le sue doti di Maestro del Cinema al servizio di una vicenda che, in tempi come quelli presenti, merita una rivisitazione.
Mymovies - Polanski ci interroga sulla morale dei nostri tempi (che non riguarda solo uno specifico settore) e ci invita a vigilare. Forse non siamo più in tempi in cui un articolo di giornale può fare riaprire un processo come accadde con il "J'accuse" di Emile Zola pubblicato su "L'Aurore" ma forse proprio per questo è necessario saper reagire a quella sorta di impermeabilizzazione agli scandali che rischia di produrre un appiattimento dell'opinione pubblica che finisce con il lasciare spazio al morbo dell'indifferenza diffusa. Ricordare ciò che accadde allora può trasformarsi in un monito prezioso.
Cineforum.it - «Apollo… è greca?» «No, è una copia romana, l’originale è perduto» «Ah, è un falso, allora» «No, è una copia dell’originale». Questo scambio, dalla conclusione ovvia per un archeologo forse meno per chi non è uno specialista, avviene nello statuario del Louvre, tra il colonnello Picquart (Jean Dujardin) e l’investigatore della sûreté, Desvernine (Damien Bonnard): originale, copia, verità e falsificazione, qui sta la chiave di volta, assolutamente polanskiana di questo teso, rigoroso adattamento cinematografico dell’Affaire Dreyfus.
Film TV - Dedicato a Zola, padre della scrittura muckracker all’europea, girato mentre si riorganizzano a Varsavia pericolose orde nere, in questo film il maturo Polanski non ha più bisogno di sfoggiare un’altissima cultura visiva. La regala in frammenti impercettibili (i due Renoir, Seurat, Toulouse-Lautrec, Ford, Hawks, Dieterle, Minnelli, De Toth…) in un’opera che immobilizza il corpo ma fa giocare la mente e che avrebbe commosso Rossellini per l’appassionata, e filologicamente corretta, tensione didattica. Mai domo e leggiadro, il regista che più di tutti ha capito i vampiri si dedica alle pratiche sadiche e stregonesche dei servizi segreti della Francia democratica (colonie a parte). Il caso Dreyfus è esemplare per come la macchina dello stato, governo e opposizione, sa aizzare al linciaggio materiale e morale degli innocenti.
Quinlan.it - L’ufficiale e la spia non è semplicemente una ricostruzione storica, né un film di denuncia, e nemmeno la storia di una grande amicizia, come il titolo italiano sembra suggerire (non vi era di fatto alcuna umana relazione tra Picquart e Dreyfus). Polanski inscena piuttosto una sorta di rigoroso film-inchiesta (quella di Picquart) nelle stanze del potere, dove tra le pieghe dei serrati dialoghi e la polvere dei dossier militari emergono gradualmente incongruenze e verità, si disvelano omissioni, falsificazioni di documenti, intrighi. E il regista di origine polacca non ha certo perso con l’avanzare dell’età il dono della sottile e colta metafora, per cui ecco che in una breve sequenza, di fronte al rifacimento romano di una statua greca, ci tiene a esporre correttamente la fondamentale differenza tra un falso e una copia.