di Pawel Pawlikowski, Polonia, 2018, 85′
con Joanna Kulig, Tomasz Kot, Borys Szyc, Agata Kulesza, Cédric Kahn, Jeanne Balibar.
Nella Polonia alle soglie degli anni Cinquanta, la giovanissima Zula viene scelta per far parte di una compagnia di danze e canti popolari. Tra lei e Wiktor, il direttore del coro, nasce un grande amore, ma nel '52, nel corso di un'esibizione nella Berlino orientale, lui sconfina e lei non ha il coraggio di seguirlo. S'incontreranno di nuovo, nella Parigi della scena artistica, diversamente accompagnati , ancora innamorati. Ma stare insieme è impossibile, perché la loro felicità è perennemente ostacolata da una barriera di qualche tipo, politica o psicologica.
Filmtv.press. Pawlikowski e i suoi sceneggiatori Janusz Głowacki e Piotr Borkowski seguono passo dopo passo l’evoluzione musicale e culturale del loro paese e dell’Europa intera, nei decenni che ridefiniscono il mondo dopo la guerra e sanciscono la nascita della modernità. Dal repertorio folkloristico studiato già da Kodály e Bartók alla creazione di un’epica operaia per assecondare il regime filosovietico; dalla gigantografia di Stalin ai club della Parigi esistenzialista; dal jazz che saccheggia ogni tradizione alle balere rock degli anni 60, la nuova identità degli europei si forma all’insegna della contaminazione e del tradimento. Il mondo è diviso in due, ma le traiettorie degli individui e dell’arte sono percorsi ininterrotti e intrecciati. E il cinema stesso, figlio, testimone e cantore del Novecento, ruba anch’esso dal contesto in cui si trova: cita Casablanca, Hitchcock, Freda, Bresson, Antonioni, Forman, Polanski, Tarkovskij, contribuendo come la musica e la politica alla costruzione di un immaginario. Con il formato 4:3 e un bianco e nero luminoso o a tratti contrastato, a Pawlikowski bastano poche calibratissime inquadrature (per esempio, quando racconta la fuga a Berlino ovest di Wiktor o immortala gli anni 50 nell’arredo delle case parigine) per sintetizzare un passato nel quale poggiano le radici della cultura pop in cui siamo ancora immersi. In Cold War il cinema è un modo di guardare la realtà; una forma d’arte ripiegata su se stessa, che supera l’idea di citazione e grazie a una narrazione per ellissi e suggerimenti offre allo spettatore il piacere dell’epifania - lo svelamento del passato attraverso le immagini.
Mymovies.it. Il formato quadrato e la riconferma del bianco e nero, che era già stato di Ida, fanno risplendere la prima parte del racconto di Pawlikowski, ispirato dalla vicenda dei suoi genitori e dedicato alla loro memoria. Come figure di un'icona, i corpi di Zula e Wiktor, irrigiditi dalla norme di comportamento e dai dettami dell'omologazione ideologica, brillano di luce propria, arroventati dal sentimento amoroso, a contrasto con un fondo scuro, che è quello delle scenografie dei teatri in cui si esibiscono ma anche quello del vuoto di libertà, della chiusura al futuro.
Quinlan.it. Lavora tutto sulla “metafora”, concetto non a caso esplicitamente messo in luce in una scena chiave del film, Cold War, facendo del suo personaggio femminile l’incarnazione stessa della Polonia post-bellica: non solo “bella e perduta”, ma anche profondamente aggrappata alle proprie radici, viva, bramosa di sopravvivenza e mai dimentica della propria memoria, specie quella popolare. Il ruolo della musica è, naturalmente, centrale in Cold War che spazia dalle iniziali registrazioni dei canti popolari fatte dai due ricercatori alle loro rielaborazioni all’interno della scuola, rielaborazioni che vengono poi ulteriormente imbarstardite dall’obbligo di accostarvi dei canti che celebrino “la riforma agraria, il leader (Stalin), la pace”. Poi c’è il jazz, il rock ‘n roll e l’immancabile (era presente anche in Ida) 24 mila baci.
Cineforum.it. Joanna Kulig, classe 1982, attrice-feticcio di Pawlikowski, già Ida nel film omonimo, incarna uno di quei casi in cui la fotogenia si rivela in tutta la sua potenza (dal vivo è uno scricciolo, sembra una ragazzina), e, soprattutto, quella musica la conosce bene, essendosi diplomata proprio in musica popolare. Ma quel che è evidente, prima e durante questa sua prima apparizione, è che il vero tema di Cold War è il tradimento: il tradimento della tradizione, il tradimento degli ideali, il tradimento dell’ideologia, il tradimento amoroso. Un teorema che si sviluppa nella forma apparente del mélo.