di Pierre Salvadori, Francia, 2018, 108′
con Adèle Haenel, Pio Marmaï, Vincent Elbaz, Audrey Tautou, Damien Bonnard, Hocine Choutri
Yvonne è una giovane ispettrice di polizia che ogni sera, prima di andare a dormire, racconta a suo figlio delle storie sul padre morto, un poliziotto eroico. Nei racconti della giovane vedova, il capitano Santi, riconosciuto eroe locale, apre le porte a calci, annienta qualsiasi avversario ed esce integro da ogni situazione come nei migliori film polizieschi. Morto da professionista con l’arma in mano, una statua viene eretta in memoria del capitano nel porto di Marsiglia. Sfortunatamente, però, Yvonne viene a conoscenza di un passato non così lodevole. Santi non era il poliziotto coraggioso e integro che sua moglie credeva, ma un vero corrotto.
filmtv.press.
Un uomo sfonda la porta d’ingresso di un appartamento, coreografa calci e pugni contro la mala e la sconfigge. Oltre ogni soglia del ridicolo, come in un action oltre il comico: mancano solo le onomatopee da fumetto o la sovrascritta «con The Rock». Comincia così, Pallottole in libertà. Solo che questa è solo e soltanto una storia, in un’altra: un racconto che magnifica la figura del padre defunto, nelle parole non credibili di una madre (donna di legge come il marito), dette per le orecchie del figlio e messe in scena per gli occhi dello spettatore. La realtà - la realtà della donna (la buffa, bellissima Adèle Haenel) - comincia poi: perché di storie, comunque, ne sono state raccontate tante, troppe, anche a lei. Quelle del compagno incorrotto, integerrimo, esempio per tutti. E invece: invece scopre che un uomo incolpevole è stato in carcere a causa del morto e dei suoi malaffari. No che non era un eroe. Così, oltre a modificare la storia da raccontare la sera al suo piccolo, la protagonista cerca di cambiare la storia (vera) dell’innocente uscito di galera. E la sua. Come può. La migliore commedia dell’anno (scorso: era a Cannes 2018, alla Quinzaine) è questa: un mix di generi en libertè, un polar ripensato sotto l’egida di Ernst Lubitsch e a ritmo Preston Sturges, un balletto di equivoci in cui ogni personaggio è chiamato a trovare un equilibrio, una misura, nelle storie che racconta e si racconta. Come quelle, soprattutto, che riguardano l’amore. Pierre Salvadori (di cui sono da recuperare Ti va di pagare? e Piccole crepe, grossi guai) è un maestro della commedia: solo che nessuno lo sa.
quinlan.it. In un contesto di generale e contagiosa isteria Salvadori coglie poi alcuni dei suoi momenti migliori nello spiazzamento del contesto bondage-sadomaso, che in prefinale si tramuta in una rilettura sotto acido del canone cinematografico della rapina in gioielleria (a vederne tempi e dinamiche, torna pure in mente l’esilarante illogicità della rapina in farmacia di Smetto quando voglio, 2014, con le armi da fuoco antiche). Salvadori confeziona così un film che corre veloce, e che si concede qualche pausa nel ritmo per lo più nella figura malinconica di Audrey Tautou. Certo, vi è un generale gusto dell’eccesso, che spinge anche a utilizzare esageratamente l’escamotage comico della ripetizione, meccanismo classico che si tramuta però in impedimento al riso se le iterazioni si verificano troppo. Qualche volta, insomma, sembra che Salvadori sia consapevole di aver azzeccato una trovata giusta, e che perciò la ripeta allo sfinimento giocando sul sicuro ma rischiando la saturazione. Ciò nonostante il marchingegno comico scivola via che è una bellezza, si ride molto, fatta la tara a qualche momento irritante per eccesso di compiacimento. E pure la confezione formale è di alta sartoria professionale, con particolare menzione per l’utilizzo di luci e colori.