di Pedro Almodóvar, Spagna, 2019, 113′
con Antonio Banderas, Asier Etxeandia, Leonardo Sbaraglia, Nora Navas, Julieta Serrano
Il regista Salvador Mallo si trova in una crisi sia fisica che creativa. Tornano quindi nella sua memoria i giorni dell'infanzia povera in un paesino nella zona di Valencia, un film da cui aveva finito per dissociarsi una volta terminato e tanti altri momenti fondamentali della sua vita.
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Almodóvar Almodovar (come si definisce ormai in forma icastica da tempo nei titoli di testa dei suoi film) torna ad essere Pedro (anche se sotto le mentite spoglie di Salvador Mallo) e ci parla di sé, del proprio malessere, della difficoltà di portare avanti il pavesiano mestiere di vivere sotto il cielo di Madrid. Lo fa tenendo sotto controllo quel tanto di automanierismo che progressivamente si era insinuato nel suo cinema e, soprattutto, lasciandosi andare sul piano emotivo. Ciò che non era accaduto in La mala educaciòn, film anch'esso legato al suo vissuto giovanile, avviene qui. Grazie anche alla scelta del giusto alter ego.
Come Federico Fellini aveva trovato in Marcello Mastroianni chi poteva tradurre al meglio il se stesso cinematografico così Pedro Almodòvar ha nell'amico e attore Antonio Banderas una persona a cui può trasferire il proprio sentire più intimo con la certezza di non essere mai tradito, neppure in un incontrollato battere di ciglia.
filmtv.press. Non è forse vero che i film non invecchiano, perché a invecchiare sono quelli che li fanno? Sempre sull’orlo di un autobiografismo che rischia di divenire fine a se stesso, Almodóvar sembra trascinarsi indolente come il suo protagonista, ma poi, all’improvviso, imprevedibilmente, fa uno di quei carpiati spericolati degni del miglior Vincente Minnelli o di Blake Edwards (o entrambi…). Quando Mallo re-incontra l’amore perduto degli anni scapestrati della giovinezza e i due, ormai maturi e imborghesiti, tradiscono, dietro gli impacci e le esitazioni, quello che (non) sono stati, Dolor y gloria bordeggia di nuovo il miglior Almodóvar. Ancora di più, se si pensa che quell’incontro è stato propiziato da un monologo teatrale (La dipendenza) scritto da Salvador (e recitato da Alberto), al quale l’altro ha assistito con gli occhi lucidi, riconoscendovisi. Ma dove si rasenta il sublime, vincendo l’impressione (che pure resta spesso) del tour all inclusive in “Almodóvarland”, è nella risoluzione dell’impasse esistenziale del protagonista, salvato (alla lettera) da se stesso e dal suo desiderio di vivere attraverso un vero e proprio piccolo viaggio nel tempo. Che lo riporta a quando, bambino, fantasticava sulle figurine dei divi hollywoodiani e sul corpo del bel muratore al quale insegnava a leggere e scrivere, Come sinfonia di Mina in colonna sonora. Passato e presente, così, si fondono senza soluzione di continuità. Non serve più isolarsi sott’acqua o stordirsi con le droghe. Il canto dolcissimo delle donne che lavavano i panni al fiume può ora rivivere nel ticchettio frenetico della macchina per scrivere.