di Clint Eastwood, USA, 2018, 116′
con Clint Eastwood, Bradley Cooper, Laurence Fishburne, Michael Peña, Dianne Wiest
Earl Stone, floricoltore appassionato dell'Illinois, è specializzato nella cultura di un fiore effimero che vive solo un giorno. A quel fiore ha sacrificato la vita e la famiglia, che di lui adesso non vuole più saperne. Nel Midwest, piegato dalla deindustrializzazione, il commercio crolla e Earl è costretto a vendere la casa. Il solo bene che gli resta è il pick-up con cui ha raggiunto 41 stati su 50 senza mai prendere una contravvenzione. La sua attitudine alla guida attira l'attenzione di uno sconosciuto, che gli propone un lavoro redditizio. Un cartello poco convenzionale di narcotrafficanti messicani, comandati da un boss edonista e gourmand, vorrebbe trasportare dal Texas a Chicago grossi carichi di droga. Earl accetta senza fare domande, caricando in un garage e consegnando in un motel. La veneranda età lo rende insospettabile e irrilevabile per la DEA. Veterano di guerra convertito in 'mulo', Earl dimentica i principi di fiero difensore del Paese per qualche dollaro in più. Ma la strada è lunga.
mymovies.it. Trasposizione di una storia vera, quella di Leo Sharp, veterano della Seconda Guerra Mondiale arrestato a novant'anni per traffico di droga e ossessionato unicamente dai suoi fiori, The Mule permette a Clint Eastwood di elaborare il rimorso per i suoi cari dietro e davanti alla m.d.p. Non è un caso che Alison Eastwood interpreti il ruolo di Iris, figlia ferita dalla negligenza di un padre a cui non rivolge più la parola. Come Earl, Clint ha sacrificato la vita personale alla passione professionale, come lui prova a incollare i frammenti di quella vita davanti alla morte dell'altra. Lui che si è filmato morire tante volte, adesso veglia impietrito la fine di chi ama. Per Dianne Wiest nel film, per Sondra Locke nella vita, l'attrice ed ex compagna morta a novembre, Earl cambia itinerario e Clint firma un film personale e struggente. Un comeback di contrabbando che disegna un riavvicinamento possibile tra padre e figlia senza minimizzare mai le ferite del passato.
quinlan.it. Procede rapido, una volta on the road Il corriere – The Mule e intrattiene di gusto con momenti che occhieggiano alla commedia più pura (davvero spassosi i vari incontri di viaggio, così come le salaci battute del protagonista), ma decolla realmente solo quando al vecchio Earl viene affiancato un tirapiedi del boss del narcotraffico. È nel confronto reale e non più solo episodico con “l’altro” che il personaggio di Earl perde la sua maschera di “razzista per ragioni di anagrafe” e riesce a svelarsi da un punto di vista umano, proprio mentre sale anche la tensione del versante “poliziesco” in parallelo con il desiderio di rientro nell’alveo familiare.
Già, perché il fine ultimo dell’arco narrativo predisposto dal film è tutto qui: nell’inno ai valori familiari troppo a lungo messi da parte dal protagonista eppure, come in ogni film americano che si rispetti (nel cinema di Muccino, per dire, le cose non vanno così), sempre recuperabili. Peccato certo per quell’insistenza sui rimbrotti, alquanto ripetitivi, della ex moglie incarnata da Dianne Wiest e dell’astiosa figlia. Momenti che mettono in luce quanto la maggiore debolezza de Il corriere – The Mule risieda proprio nella descrizione dei personaggi secondari, con il poliziotto rampante ma tonto (Cooper), il capo (Laurence Fishburne) capace solo di ripetere slogan senza mordente (vuole degli arresti, e subito!), il boss del narcotraffico (Andy Garcia) dedito al tiro al piattello e alle feste in piscina con ragazze in bikini. Si tratta di una galleria di ruoli appena sbozzati, incompiuti, quasi fossero stati progettati apposta per non poter in alcun modo oscurare il mostro sacro, il monumento vivente rappresentato da Clint Eastwood. E allora la vera domanda per lo spettatore resta solo questa: se sia sufficiente o meno la sua presenza, il suo ritorno sul grande schermo. Qui si gioca il livello di appagamento che il film può dare.
filmtv.press. Storia sul tempo che dura maledettamente poco e che non ritorna, ritratto di un’America rurale affettuosamente inquadrata dalla macchina da presa e acutamente raccontata dalla musica che Earl ascolta e canticchia durante i suoi viaggi (da Willie Nelson a Dean Martin), Il corriere sta un po’ a mezza strada tra Gran Torino (dal quale prende le mosse, pigiando però sul tasto dell’autoironia) e Un mondo perfetto (del quale ripete lo schema della caccia tra due uomini che non si conoscono ma che hanno molte cose in comune). Sottotraccia, temi cari all’autore: la crisi economica, la distanza pasticciona dalla modernità digitale, la disillusione dei reduci (occhio alla targa: Korean War Veteran), una figlia dall’affetto alienato (Alison Eastwood), il miscuglio delle etnie. Ognuno ha la sua musica e il suo cuore e, mischiandosi con loro, Earl cerca il proprio, finché non decide di confrontarsi con il nodo vero della sua vita. Ma il suo giorno sta finendo; e restano ancora alcune daylily da far sbocciare. Il corriere non è un capolavoro come Gran Torino e Un mondo perfetto, ma è pieno di tenerezza, di orgoglio e di cocciuto amore per la vita e per il cinema.