di Yorgos Lanthimos, Grecia, 2018, 120′
con Olivia Colman, Emma Stone, Rachel Weisz, Nicholas Hoult, Joe Alwyn, James Smith.
Inghilterra, 18esimo secolo. La regina Anna è una creatura fragile dalla salute precaria e il temperamento capriccioso. Facile alle lusinghe e sensibile ai piaceri della carne, si lascia pesantemente influenzare dalle persone a lei più vicine, anche in tema di politica internazionale. E il principale ascendente su di lei è esercitato da Lady Sarah, astuta nobildonna dal carattere di ferro con un'agenda politica ben precisa: portare avanti la guerra in corso contro la Francia per negoziare da un punto di forza - anche a costo di raddoppiare le tasse sui sudditi del Regno. Il più diretto rivale di Lady Sarah è l'ambizioso politico Robert Harley, che farebbe qualunque cosa pur di accaparrarsi i favori della regina. Ma non sarà lui a contendere a Lady Sarah il ruolo di Favorita: giunge infatti a corte Abigail Masham, lontana parente di Lady Sarah, molto più in basso nel sistema di caste inglese.
Filmtv.press. Strette nei costumi (tutti giocati sul bianco e nero) di Sandy Powell, Rachel Weisz, Emma Stone e Olivia Colman (l’autentica dominatrice, che sta vincendo ogni premio) tessono un gioco di ruolo stizzito e impudico che si avvale delle armi affilate della femminilità, della quale trapelano a tratti lampi di dolore (la regina, con i 17 conigli che rimandano ai 17 figli abortiti, nati morti o morti in tenera età), di autentica solidarietà (Sarah) o di maldestra ingenuità (Abigail). Lanthimos distorce le prospettive con sontuosi grandangoli, riprende le sue “eroine” ostinatamente dal basso, ingigantendole o cogliendone in primi piani silenziosi le interne macchinazioni, le guarda danzare una surreale rivisitazione dei balli di corte settecenteschi, le ammira, in fondo, tanto quanto disprezza o deride i cortigiani che le circondano. E, insieme a loro, diventa carnale e vitale come non è mai stato.
Mymovies.it. La Favorita è calato in un contesto storico e politico ben preciso, e racconta senza troppe esagerazioni la condizione femminile come un percorso a ostacoli all'interno di un mondo patriarcale che lascia alle donne pochissimi spazi di manovra, e ancor minori difese. L'unica donna che conta, qui, è la regina, ma questo non la sottrae alle logiche del potere declinato al maschile, che si esprime al grado zero con l'ennesima guerra. Anna è una bambina mai cresciuta (e impossibilitata a veder crescere i suoi numerosi figli) capace di improvvise gentilezze e di altrettanto imprevedibile ferocia. Una creatura sola e malata al crocevia degli interessi degli altri, mascherati da ossequio o da affetto. Ma al contrario di ogni altro cittadino inglese, la regina può dire: "Si fa così perché lo dico io" - il che è il sogno di ogni bambino viziato, oltre che la più elementare espressione del potere assoluto. Per questo l'ironia che colora tutta la narrazione è maliziosa e puerile, incline al dispetto più ancora che al sopruso, e solleva (finalmente) la narrazione dal registro plumbeo di molto Lanthimos precedente.
Quinlan.it Nonostante il suo plot “classico”, i cui rivolgimenti possono essere pressoché infiniti, anche questo ben oliato divertissement saffico sul potere, tra servi e padroni, favorite e regine, alla lunga può provocare una certa stanchezza e alla fine poi, come spesso accade nel cinema di Lanthimos, la chiosa rivelarsi deludente, per quanto ricercata da un punto di vista visivo. E il regista, abile burattinaio di una serie di marionette deformabili all’infinito, sembra in fondo saperlo già di suo. Inconsistente ma anche profondamente consapevole dell’inconsistenza dei suoi contenuti, La favorita procede infatti rapido, divertito e divertente, con il suo teatrino di maschere ben imbellettate, nobiliare ed escrementizio, parruccone e satirico. E poco importa dunque chi vincerà l’aspra contesa per il potere, le tre donne protagoniste potrebbero in fondo scambiarsi di ruolo ancora e ancora, in una farsa darkettona e sadomaso apparecchiata per sollazzare il voyeur di turno, in questo caso: noi. Perché l’importante, a volte, è non partecipare.
Il manifesto. È nei tratti comici che Lanthimos sembra esprimersi al meglio, come nella scena del ballo a corte, dove da alcuni passi inaugurali, inscritti nel retaggio della danza di corte, i protagonisti si sfrenano via via in coreografie frivole e pacchiane, attraverso combinazioni di mani sbarazzine, piedi, piroette e trascinamenti sul pavimento, che sembrano una variazione del rock and roll acrobatico. È cioè la sintesi perfetta dell’idiozia del potere, colta da Lanthimos in un contesto (quello aristocratico) e in un tempo (il Settecento) in cui non andava neppure tanto scovata dietro la coltre degli intrighi, dei costumi e dei contegni, perché si rivelava in tutto il suo precipitato comico, proprio nella compiaciuta esibizione di parrucche, orpelli vari, accessi di ciprie sui volti, come quello che agli occhi di Sarah fa apparire la regina Anna (Olivia Colman) simile a un tasso o, secondo Abigail, toglie virilità a Masham. In effetti le due donne sono i personaggi dotati di maggior spessore, di un’intelligenza pratica che va oltre la vacuità dei ghirigori d’oro sui soffitti e permette loro di entrare in contatto diretto con il potere per ricavarne profitto (forse anche sentimentale se è vero che Sarah ama davvero la regina). Ma il potere è ottuso; e la tragedia consiste nel fatto che ogni intelligenza soccomberà o sarà assoggettata, calpestata di fronte a questo apparato di appariscente, comica stupidità.
Cineforum.it. La favorita sembra confermare come il fantasma più vistoso di questo nuovo corso della cinematografia di Lanthimos sia, come già si vedeva ne Il sacrificio del cervo sacro, il cinema di Kubrick. (...) È un confronto che si struttura però più come una coincidenza di campo che non come un’imitazione pedante: se Kubrick aveva fatto ricorso a lenti e obiettivi all’epoca ultra-tecnologici per inseguire la sostanza della pittura e dell’immaginario settecentesco, in fondo bonificato, se non igienizzato, che faceva da sfondo alla vicenda, Lanthimos decide di non nascondere il dispositivo: il fisheye “smarmellato” si offre come risorsa espressiva e non come limite compositivo, lente – ma anche specchio, come erano gli specchi convessi ancora all’inizio del ’700 – deformante, che deflagra impietosamente la superficie dell’immagine, enfatizzando le maschere e i ruoli, come si confa alla satira, letteraria e grafica.