di Emmanuel Finkiel, Francia, Belgio, Svizzera, 2017, 127′
con Mélanie Thierry, Benoît Magimel, Benjamin Biolay, Shulamit Adar, Grégoire Leprince-Ringuet
Giugno 1944, la Francia è sotto l'occupazione tedesca. Lo scrittore Robert Antelme, maggior rappresentante della Resistenza, è arrestato e deportato. La sua giovane sposa Marguerite Duras è trafitta dall'angoscia di non avere sue notizie e dal senso di colpa per la relazione segreta con il suo amico Dyonis. Pronta a tutto per ritrovare suo marito, si lascia coinvolgere poi in una relazione ambigua con un agente francese della Gestapo, Rabier, l'unico a poterla aiutare. La fine della guerra e il ritorno dai campi di concentramento annunciano a Marguerite l'inizio di un'attesa insostenibile, un'agonia lenta e silenziosa nel mezzo del caos della liberazione di Parigi.
Mymovies.it. Emmanuel Finkiel rilegge il celebre romanzo di Marguerite Duras che lo sconvolse a 19 anni. "Questa donna che attende il ritorno del marito dai campi di concentramento faceva eco alla figura di mio padre, una persona che aspettava sempre. Anche quando ebbe la certezza che la vita dei suoi genitori e di suo fratello era finita ad Auschwitz". Il regista adatta il testo della grande scrittrice per arrivare a una considerazione universale su un sentimento proprio di tutti gli uomini. L'opera di Finkiel non è un biopic su Marguerite Duras, ma un diario intimo del dolore, un ritratto della presenza dell'assenza, un viaggio interiore di un'anima ripiegata su se stessa che Mélanie Thierry ha saputo brillantemente portare alla luce. L'attrice francese attraversa magistralmente l'evoluzione di Marguerite Duras dagli anni della sua gioventù a quelli della sua maturità.
Cineforum.it. Ritrovato, scritto a posteriori, rimaneggiato che sia (è la stessa scrittrice a confondere le idee del lettore a questo proposito e a rendere volutamente ambigua la natura dell’opera), il diario della giovane Marguerite che attende il ritorno del marito Robert deportato a Dachau, prende forma proprio attraverso la parola che, quasi senza coscienza di sé, sovrascrive la storia alla Storia. Nel suo ridefinirsi come narrazione diaristica, La douleur diventa molto più di un diario, si stacca dal tempo per diventare pura dimensione intima, psicologica, emotiva, per diventare dolore puro e consegnarsi alla letteratura quasi suo malgrado («la littérature lui fait honte», dice addirittura Duras nel preambolo letteralmente citato in apertura dal film).