di Petra Biondina Volpe, Svizzera, Germania, 2025, 92′
con Leonie Benesch, Jasmin Mattei, Alireza Bayram, Andreas Beutler, Lale Yavas
L’infermiera Floria lavora con passione e professionalità nel reparto di chirurgia di un ospedale. Ogni suo movimento è perfetto. È sempre in ascolto di tutti i pazienti, anche nelle situazioni più stressanti, e si rende sempre disponibile, facendo fronte a ogni emergenza. Ma nella cruda realtà della sua routine quotidiana, in un reparto sovraffollato e a corto di personale, spesso le situazioni sono imprevedibili. Floria si prende cura, fra tanti altri, di una giovane madre gravemente malata e di un anziano signore che attende con apprensione la sua diagnosi. Via via che la notte avanza, il suo lavoro assume sempre più i contorni di una corsa contro il tempo.
Il tema della cura mi interessa da molti anni. Per un lungo periodo di tempo ho vissuto insieme a un’infermiera e ogni giorno sono stata testimone di quello che lei sperimentava sul lavoro, nel bene e nel male, e che in gran parte dipendeva dalle situazioni che diventavano sempre più proibitive. A mio parere dovrebbe essere una professione che la nostra società dovrebbe tenere in grandissima considerazione e rispettare profondamente. Gli operatori socio-sanitari si prendono cura di noi quando siamo malati e anziani, quando siamo estremamente vulnerabili. Ogni giorno si assumono una responsabilità enorme.
Mi auguro, da un lato, che il film possa intrattenere dal momento che ti trascina in un eccitante cavalcata vertiginosa. Ma dall’altro mostra anche cosa significa esercitare questa professione. Per molte persone, un infermiere è presente all’inizio della propria vita, ma anche alla fine. Spesso sono le prime e le ultime persone con le quali abbiamo un contatto fisico. Di solito le incontriamo quando la nostra vita o la
vita di un nostro caro si trova in una situazione critica. Vorrei anche ricordare agli spettatori, quanto profondamente grati possiamo tutti essere che una persona professionale ed empatica sia al nostro fianco in quei momenti. Dovremmo tutti essere consapevoli del fatto che la loro lotta per condizioni di lavoro migliori dovrebbe essere anche la nostra lotta poiché siamo tutti dei potenziali pazienti.
PETRA VOLPE
Quinlan.it - Con L’ultimo turno Petra Volpe racconta una necessità universale, un mondo nascosto e una donna forte, complessa e stratificata nelle modalità del sentire e dell’agire, per sé e per l’altro, dando tangibile e vibrante vita ad un meccanismo ritmico di pathos e dolcezza, rabbia e frustrazione, morte e vita. Nella distruttiva routine di un reparto oncologico, dove lo scambio medio spesso non ha tempo di andare oltre i «come si sente oggi?», «ora le misuro i parametri vitali», «in una scala da uno a dieci, quanto le fa male?», la cura del personale sanitario è anche la cura degli ospiti, la certezza che, si guarisca o si muoia, lo si faccia potendo permettersi di essere anche altro dal dolore, potendo guardare il tempo fuori dalla finestra e, seppur in un momento di passaggio, ricordare a quale mondo si appartiene davvero.
Mymovies.it - La regista Petra Volpe, che ha presentato il film all'ultima Berlinale nella sezione Gala, segue la sua protagonista con la macchina a mano nel corso di lunghi piani-sequenza che trasmettono la concitazione delle sue ore. La tecnica naturalmente impeccabile, (...), crea un'atmosfera di continua tensione, e punta naturalmente all'identificazione dello spettatore con l'esperienza della protagonista. Aldilà però della facile struttura narrativa ad accumulo (...), L'ultimo turno deve la sua efficacia soprattutto ai rapporti interpersonali che crea.
Stanza dopo stanza, conversazione dopo conversazione, cura dopo cura, la frenesia dei movimenti di Floria si oppone alla debolezza dei suoi pazienti, alla loro rassegnazione dopo scoppi di rabbia, ed è in questi spazi di vita, di contraddizione e in fondo di bellezza (come nel confronto con l'arrogante manager malato di tumore al pancreas), che il film lascia alla sua bravissima interprete Leonie Benesch (conosciuta in La sala professori) il tempo e il modo di mostrarsi come uno dei volti più interessanti del cinema europeo, così fragile da non chiedere altro che empatia e così forte da trascinare il film ben oltre i cliché del cinema medico.